Lo sviluppo delle infrastrutture energetiche in Sardegna: lo studio RSE

Conclusioni:

  1. a) Lo studio RSE, commissionato da Arera, è basato su un’analisi costi/benefici di dati del 2019 o antecedenti, con proiezioni contestualizzate sul periodo ante Covid, senza dunque considerare il crollo del prezzo del petrolio e del gas nel frattempo sopravvenuto. Di conseguenza, tutte le previsioni di tale studio devono essere riviste. Diversamente opinando, lo studio appare viziato di “erronea rappresentazione dei fatti” ed “errore manifesto di valutazione” degli stessi, vizi sintomatici di eccesso di potere. Né la pubblicazione datata il 10 agosto 2020 serve a sanarne il contenuto fuorviante, dato che la c.d. “emergenza Covid”, e tutto ciò che ne è conseguito, non risulta neppure accennata. Inoltre, lo studio RSE è inoltre redatto con una impostazione viziata anche di “illogicità manifesta” dato che parametra tutte le sue rilevazioni e valutazioni a dati e informazioni prive di riscontro.
  2. b) Tutta la procedura ARERA risulta viziata da eccesso di potere e illegittimità costituzionale rispetto a una serie di parametri, a partire dalla Convenzione Quadro ONU sui cambiamenti climatici (d’ora in poi UNFCCC).

 

OGGETTO DELLE OSSERVAZIONI

nello specifico:

 

1)  –   IL METODO DI ARERA DI CONSULTAZIONE PUBBLICA, CHE ESCLUDE LE TEMATICHE DI NATURA AMBIENTALE NELLA CONSULTAZIONE DEI PIANI DECENNALI DI SVILUPPO DELLA RETE DI TRASPORTO RELATIVI AGLI ANNI 2019 E 2020, È INCOSTITUZIONALE, PERCHé  IGNORA VOLUTAMENTE TUTTE LE FONTI SOVRANAZIONALI E INTERNAZIONLI CHE IMPONGONO L’APPROCCIO CONGIUNTO ED ECOSISTEMICO TRA ENERGIA E CLIMA, FONTI VINCOLANTI QUALSIASI AUTORITà INTERNA AGLI STATI, IN FORZA DELL’ART. 117 COMMA 1 DELLA COSTITUZIONE (DALL’ART. 3 N.3 DELL’UNFCCC AGLI ARTT. 4, 191, 192 E 194 TFUE AL REG. UE 1999/2018).

2) – RIGETTO necessariO e obbligatorio DELla procedura DI ARERA DI METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA, PER ECCESSO DI POTERE, NELL’ASSUMERE LO STUDIO RSE CHE IGNORA INCOMPRENSIBILMENTE L’IMPATTO SOCIO-ECONOMICO-AMBIENTALE DELL’EMERGENZA COVID-19, VIOLAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO, CARENZA ISTRUTTORIA RISPETTO A QUANTO LA COMMISSIONE EUROPEA, NELLE LINEE GUIDA PER L’ “EUROPEAN GREEN NEW DEAL” SULLE PROIEZIONI AL 2022 DI FINANZIAMENTO DELLE SOLE INFRASTUTTURE IN ESSERE DI GAS E OIL, AD ESLUSIONE QUINDI DI QUALSIASI NUOVA INFRASTRUTTURA GAS E OIL

3) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA PROCEDURA DI ARERA DI METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA, PER DIFETTO DI VALUTAZIONE FINANZIARIA, IN QUANTO IN CONTRASTO CON LA DECISIONE DELLA BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI DI NON FINANZIARE PIU’ INFRASTRUTTURE FOSSILI DAL 2021. IL DOCUMENTO NON CONSIDERA GLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI.

4) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA PROCEDURA DI ARERA DI METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA, PER DIFETTO DI APPROCCIO ECOSISTEMICO, IN QUANTO PROSPETTA UNA NUOVA OPERA INFRASTRUTTURALE DEL GAS IN TEMPI DI CROLLO DEL PREZZO DEL GAS METANO E GNL, CON POSSIBILI E PROBABILI SCENARI DI DOMANDA NON REALIZZABILI E CONSEGUENTI ESTERNALITÀ E TRANSAZIONI DEI COSTI SUI CITTADINI E TERRITORI SARDI, IN UN CONTESTO IN CUI LE INFRASTRUTTURE POTREBBERO DIVENTARE “STRANDED” E CONTRIBUIRE ESSE STESSE A RENDERE MENO COMPETITIVO IL GAS E, QUINDI, A INCIDERE NEGATIVAMENTE SULLA SUA DOMANDA.

5) – RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA PROCEDURA DI ARERA DI METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA IN QUANTO AI SENSI DELL’ART. 9 DELLA DIRETTIVA UE 2009/73, COSÌ COME RECEPITA DALL’ART. 19 DEL D. LGS. 93/11, AI GESTORI DELLA RETE DI TRASPORTO GAS È FATTO DIVIETO DI SVOLGERE L’ATTIVITÀ DI PRODUZIONE O DI FORNITURA DI GAS NATURALE E DI ELETTRICITÀ.

6) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA PROCEDURA DI ARERA DI METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA IN QUALSIASI DELLE CONFIGURAZIONI FISICHE PRESENTATE (SIA VIRTUALE CHE FISICA, COMPRESA LA DORSALE), per carenza assoluta di istruttoria rispetto agli ONERI E obblighi derivanti da attività RICONDUCIBILE ALLA FATTISPECIE ex ART. 2050 Cod. civ. in Contesto di “minaccia” climatica e triplice emergenza ecosistemica, climAtica e fossile. IL DOCUMENTO NON CONSIDERA GLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI.

7) –   ILLEGITTIMITà COSTITUZIONALE DELLA PROCEDURA PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2, 32, 41.2 E 44.1 COST. NONCHé DELLA L. 65/1994, IN FORZA DELL’ART. 117.1 COST. E DELL’ART. 3-bis  D. lgs. 152/2006 (d’ora in poi Cod. amb.) E DEL CRITERIO “IN DUBIO PRO CLIMA..

8) – ILLEGITTIMITà DELLA PROCEDURA PER ILLOGICITà MANIFESTA ED ERRORE MANIFESTO DI VALUTAZIONE DEI FATTI DI “MINACCIA” E TRIPLICE EMERGENZA, RESA ANCORA PIU’ URGENTE DAGLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI.

 

9) – OBBLIGO COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE DI “OPZIONE ZERO” PER ASSENZA DI ALTERNATIVE “MIGLIORABILI” DELLA PROCEDURA MEDESIMA, SECONDO LA MIGLIORE SCIENZA DISPONIBILE. IL DOCUMENTO NON CONSIDERA GLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI.

10) CONSEGUENTE RESPONSABILITà DEL PROPONENTE E DELLO STATO, AI SENSI DEGLI ARTT. 1173, 2043, 2050 COD. CIV. E 28 COST. (PER LO STATO), IN CASO DI CONCLUSIONE DELLA PROCEDURA.

 

 

SVOLGIMENTO DELLE OSSERVAZIONI

 

ABSTRACT DELLE OSSERVAZIONI

Il Movimento NoTap/SNAM della Provincia di Brindisi, insieme alla rete “Legalità per il clima“, alla redazione di “emergenzaclimatica.it“, all’associazione Forum ambientalista, e alle altre associazioni in firma in calce chiedono il rigetto incondizionato della Procedura di metanizzazione della Sardegna per assoluta “incompatibilità climatica“, nonché lo studio RSE in basato sul un’analisi costi/benefici fondata su dati del 2019 e antecedenti, senza considerare il crollo del prezzo del petrolio e del gas in tempi di Covid19 e tutte le previsioni da esso conseguenti.

Altresì si contesta il metodo di Arera di consultazione pubblica, che esclude le tematiche di natura ambientale nella consultazione dei piani decennali di sviluppo della rete di trasporto relativi agli anni 2019 e 2020 e che riserva tale consultazione solo agli operatori, per poi aprire la discussione pubblica sullo studio finale RSE, palesemente fuorviante per aver ignorato gli impatti socio-economico-ambientali della pandemia Covid-19 e delle sue conseguenze.

Inoltre, ribadendo tutti e 10 i punti sopra scanditi come “oggetto delle osservazioni”, giova ricordare che qualsiasi nuova infrastruttura fossile deve essere analizzata e valutata, per obbligo di buona fede impresso dall’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, vincolante in Italia in base all’art. 117 n. 1 Cost., alle seguenti situazioni di fatto, non contestabili e non contestate neppure da ARERA (ma da essa ignorate come ignorate anche dallo studio RSE: 

a) esistenza di un contesto di “minaccia urgente” e “potenzialmente irreversibile”, riconosciuta e dichiarata dagli Stati, compresa l’Italia, con la Decisione n. 1/CP21-2015 dell’UNFCCC[1];

b) esistenza, denunciata dalla migliore scienza disponibile e formalizzata dalle dichiarazioni del Parlamento europeo, di quello italiano della triplice emergenza planetaria in atto (ecosistemica[2], connessa al deficit ecologico della Terra alimentato da estrazione e consumo di risorse fossili[3], climatica, connessa alla instabilità del sistema climatico sempre a causa di estrazione e consumo di risorse fossili[4], fossile, dovuta all’aumento già a breve termine del “Global Potential Warming[5] di tutte le risorse fossili);

c) obbligo dello Stato e degli operatori economici di rispettare in buona fede le acquisizioni della scienza per vincolo contratto dall’Italia con l’UNFCCC e di ricorrere al principio “in dubio pro clima“, derivante dalla lex specialis dell’art. 3 n. 3 sempre dell’UNFCCC, riconosciuto da autorevole opinio iuris internazionale e dall’IBA[6], e fondato, in Italia, anche sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e sui vincoli di cui agli artt. 32, 41.2 e 44.1 Cost., in nome dei diritti della presente e delle future generazioni.

d) obbligo dello Stato e degli operatori economici di rispettare in buona fede i diritti fondamentali e umani delle persone, minacciati e compromessi dai cambiamenti climatici e dal “Global Potential Warming” delle risorse fossili, come riconosciuto dal Joint Statement on human rights and climate change dell’ONU e per ossequio al principio del neminem laedere, dalla Corte costituzionale italiana eretto a fondamento dello Stato costituzionale di diritto (Sent. n. 16/1992, punto. 3 in diritto).

 

1. Metodo di Arera di consultazione pubblica.

Il metodo di Arera di consultazione pubblica, che esclude le tematiche di natura ambientale nella consultazione dei Piani Decennali di Sviluppo della Rete di Trasporto relativi agli anni 2019 e 2020 e che riserva tale consultazione solo agli operatori,salvo poi aprire la discussione pubblica sullo studio finale RSE sulla Metanizzazione della Sardegna  (vedi comunicato https://www.arera.it/it/comunicati/20/200507pds.htm) è fuorviante e non conforme alle linee guida per la corretta applicazione della Convenzione di Aarhus (e alle c.d. “Maastricht Recommendations”). In questa consultazione, infatti, i cittadini sono invitati solo a esprimere la loro opinione sulle 5 alternative già preimpostate (Base, Depositi, Continente, Elettrico nelle due ipotesi di interconnessione virtuale o fisica) come se il contesto di riferimento fosse “in vitro”, “normale” non coinvolto dall’emergenza climatica e dalle politiche di lotta al cambiamento climatico e all’abbandono del fossile, imposte da precisi e incontrovertibili vincoli internazionali, sovranazionali e nazionali.

In questo quadro, come più volte ribadito, lo studio RSE è del tutto lacunoso, perché basato su un’analisi costi/benefici

– precedente l’emergenza pandemica COVID-19, dunque anacronistica e surreale;

– ignara dei vincoli climatici di qualsiasi politica energetica (valga per tutti il richiamo al Reg. UE 1999/2018, tra l’altro in revisione, come noto, nella prospettiva dei nuovi ambiziosi obiettivi euro-unitari di abbattimento delle emissioni almeno del 55%;

– ignara del metodo imposto dall’art. 3 n.3 dell’UNFCCC, vincolante tutti gli operatori italiani in forza dell’art. 117 n. 1 Cost.

Il risultato è la totale illogicità dell’intero procedimento.

La Sardegna è vissuta finora con l’infrastruttura esistente, sicché non si capisce perché, contro ogni politica UE di lotta ai cambiamenti climatici (tra l’altro, obietti 13 SGD ONU al 2030, riconosciuto e perseguito dalla stessa Regione Sardegna), dovrebbe “metanizzarsi”, in tempi di

– abbandono del fossile,

– crollo dei prezzi di metano e GNL,

-emergenza climatica, dichiarata internazionalmente “minaccia urgente potenzialmente irreversibile”,

– fondi europei di “Just Transition” destinati alle opportunità del Green New Deal su proiezione di 40 anni,

– necessità di realizzare l’obiettivo n. 7 dei SDGs ONU al 2030 (Affordable and Clear Energy), che prevede l’accesso democratico all’energia, oltre che gli obiettivi 8 e 13,

– dovere, ai sensi dell’art. 41 Cost., di scongiurare eventualità di “stranded assets”, in cui lo Stato, dopo aver finanziato investimento anacronistico e in via di abbandono, si dovrà accollare anche le perdite delle società private coinvolte con i soldi dei cittadini.

Non sembra superfluo ricordare, data la palese illogicità riscontrata, che

– proprio il PNIEC, più volte citato dallo studio RSE, richiede valutazioni integrate omesse dal RSE

– sempre il PNIEC è stato ufficialmente dichiarato dal Governo italiano, con effetti giuridici rilevanti nei termini della Convenzione di Aarhus, inadeguato rispetto ai nuovi obiettivi euro-unitari di riduzione delle emissioni almeno del 55%.

 

2. Commissione Europea nelle linee guida per il “European Green New Deal”.

La Commissione europea, nelle Linee guida per l’ “European Green New Deal“, ha deciso che, al 2022, saranno finanziate solo infrastrutture in essere di gas e oil per la transizione dal carbone, senza nessuna nuova opera (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/P-9-2020-003915-ASW_EN.html).

Non a caso, la UE ha anche avviato, come noto, la “Strategia europea di riduzione del metano“.

Si fa inoltre presente che il progetto del megagasdotto Galsi, progetto di Sonatrach, Edison, Enel, Hera, approvato dal Parlamento Europeo nella PCI List, e dalla EIB per il finanziamento europeo, è stato poi ritirato per motivi di analisi costi/benefici.

Il rapporto RSE, aggiornato solo al 2019, in epoca pre-Covid, sembra redatto per un contesto non europeo. Esso semplicemente pretermette lo scenario di abbandono del fossile e le prospettive “carbon free” imposte dall’emergenza climatica.

 

3. Contrasto con BEI sulle PCI List.

Lo studio RSE ignora anche il fatto che “The EIB will end financing for fossil fuel energy projects from the end of 2021“. The new energy lending policy details five principles that will govern future EIB engagement in the energy sector:

  • prioritising energy efficiency with a view to supporting the new EU target under the EU Energy Efficiency Directive
  • enabling energy decarbonisation through increased support for low or zero carbon technology, aiming to meet a 32% renewable energy share throughout the EU by 2030
  • increasing financing for decentralised energy production, innovative energy storage and e-mobility
  • ensuring grid investment essential for new, intermittent energy sources like wind and solar as well as strengthening cross-border interconnections

(cfr https://www.eib.org/en/press/all/2019-313-eu-bank-launches-ambitious-new-climate-strategy-and-energy-lending-policy)

 

4. Gas e GNL: pericolo imminente di “stranded assets”

Nelle osservazioni di ENI ad ARERA sui Piani decennali di sviluppo della rete di trasporto del gas naturale per gli anni 2019 e 2020 e sulle ipotesi di scenario energetico adottate con l’aggiornamento dei criteri applicativi dell’ACB, si legge “è necessario che sia valutata l’effettiva necessità e opportunità prospettica di realizzare l’investimento. Infatti:  sulla base delle attuali durate convenzionali tariffarie dei cespiti, l’infrastruttura avrebbe costi che verrebbero recuperati in tariffa in 40/50 anni; sulla base degli attuali criteri tariffari, i costi del trasporto, ivi compresi i nuovi investimenti, hanno una incidenza inversamente proporzionale ai volumi di gas complessivamente trasportati. Ciò implica che, qualora gli scenari di domanda sottesi all’analisi Costi/Benefici non dovessero realizzarsi, la garanzia di recupero dell’investimento potrebbe innescare per decenni una spirale di tariffe di trasporto crescenti, in un contesto in cui le infrastrutture potrebbero diventare “stranded” e contribuire esse stesse a rendere meno competitivo il gas e, quindi, a incidere negativamente sulla sua domanda. Quanto sopra assume particolare rilievo in considerazione del fatto che il recupero tariffario degli investimenti in questione si estenderà ben oltre gli orizzonti temporali (2030 e 2050) entro i quali le policy nazionali ed europee prevedono il raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica e di decarbonizzazione. Su tali orizzonti, specie quelli di più lungo termine, sussistono ad oggi incertezze rispetto al fatto che si sviluppi o meno una infrastruttura di trasporto separata e dedicata all’idrogeno: se ciò si verificherà – e se pertanto l’attuale rete gas continuerà a garantire il trasporto del solo gas naturale e biometano, in quantitativi verosimilmente in diminuzione per far posto all’incremento dei volumi di idrogeno – il rischio di una spirale tariffaria di cui sopra e di nuove infrastrutture gas “stranded” sarebbe ancora maggiore“. (Fonte: Osservazioni ENI https://www.arera.it/allegati/operatori/gas/pds/Eni%20oss%20PdS%202019_2020.pdf)

Investire oggi in nuovi metanodotti o GNL in Sardegna si configura già come prospettico e imminente “Stranded Asset“.

Se a questo sommiamo sempre la incomprensibile “amnesia” di RSE e ARERA sugli impatti e le prospettive conseguenti all’emergenza pandemica Covid-19, che comunque ha destabilizzato irreversibilmente il settore della domanda e offerta di prodotti oil & gas, qualsiasi ACB, anche nella più elementare delle sue applicazioni, apparirebbe comunque fuorviante e lacunosa nel non prendere seriamente in considerazione il tema degli “Stranded Asset“.

 

 

5. gestori della rete di trasporto gas: divieto di svolgere l’attività di produzione o di fornitura di gas naturale e di elettricità:

Dalle osservazioni fatte alle Consultazione dei Piani decennali di Sviluppo della Rete di Trasporto relativi agli anni 2019 e 2020 di ARERA, si nota che molti sono i gestori della rete di trasporto gas   coincidenti con le aziende di produzione e fornitura di gas naturale e di elettricità, come evidenziato anche dalle osservazioni dell’ENI nei confronti di SNAM: (https://www.arera.it/allegati/operatori/gas/pds/Eni%20oss%20PdS%202019_2020.pdf).

Con  ogni evidenza, tale situazione consuma una diretta e aperta violazione dell’art. 9 della Direttiva UE 2009/73, così come recepita dall’art. 19 del D.Lgs. 93/2011, secondo cui ai gestori della rete di trasporto gas è fatto divieto di svolgere l’attività di produzione o di fornitura di gas naturale e di elettricità.

Di conseguenza, tutte le loro Osservazioni sui Piani decennali di Sviluppo della Rete di Trasporto relativi agli anni 2019 e 2020 di Arera sono subordinate al rispetto di tale limite.

 

6. Analisi costi benefici sfavorevole alla cittadinanza del 2019 e non considera lo stravolgimento del mercato a causa del covid19

Sempre dalle suddette citate Osservazioni ENI si legge: “è necessario che sia valutata l’effettiva necessità e opportunità prospettica di realizzare l’investimento. Infatti:  sulla base delle attuali durate convenzionali tariffarie dei cespiti, l’infrastruttura avrebbe costi che verrebbero recuperati in tariffa in 40/50 anni;  sulla base degli attuali criteri tariffari, i costi del trasporto, ivi compresi i nuovi investimenti, hanno una incidenza inversamente proporzionale ai volumi di gas complessivamente trasportati. Ciò implica che, qualora gli scenari di domanda sottesi all’analisi Costi/Benefici non dovessero realizzarsi, la garanzia di recupero dell’investimento potrebbe innescare per decenni una spirale di tariffe di trasporto crescenti, in un contesto in cui le infrastrutture potrebbero diventare “stranded” e contribuire esse stesse a rendere meno competitivo il gas e, quindi, ad incidere negativamente sulla sua domanda“.

Si riconosce dunque esplicitamente l’effetto di costo transattivo che tali operazioni così lacunose possono produrre a carico dei cittadini.

Infatti, in caso di “Stranded Assets” e quindi di non ritorno degli investimenti:

– le aziende coinvolte nella metanizzazione della Sardegna chiederebbero le perdite allo Stato Italiano, nel caso di approvazione della Procedura,

– i cittadini, oltre a finanziare la Procedura inutile, dannosa e costosa, si ritroverebbero anche a coprire i costi di eventuale perdite dovute al mercato, già oggi prevedibili in termini di crollo del mercato del petrolio e del gas.

– si produrrebbe un danno ingiusto prevedibile ed evitabile, rilevante su vari fronti di responsabilità civile (art. 2043 Cod.civ.) e contabile (danno erariale).

Di tutto questo, nello studio RSE, non c’è traccia.

Se a questo aggiungiamo anche i costi climatici (in termini di mancata mitigazione e più oneroso adattamento), costi obbligatoriamente da includere per applicazione in buona fede dell’art. 3 n. 3 dell’UNFCC, si desume anche che sui cittadini sardi (e quelli italiani) ricadranno anche conseguenze ingiuste di “Loss and Damage“, rilevanti nel quadro dell’Accordo di Parigi sul clima, del 2015 (altro grande escluso dallo studio RSE).

 

7. Inutilità dell’apporto di gas nella infrastruttura esistente

La Sardegna, con la sua produzione di eolico e solare, più il pompaggio e gli impianti a gas GNL esistenti, incrementando la produzione diffusa delle comunità energetiche, già presenti sull’isola, potrebbe coprire il suo fabbisogno energetico, investendo appunto nell’energia diffusa, democratica, sulle case, i quartieri, senza compromettere ambiente, paesaggio e salute pubblica e aumentando così l’occupazione, tra tecnici, rivenditori di soluzioni comunitarie, manutentori, installatori, non solo bilanciando le perdite di forza lavoro degli impianti a carbone in chiusura, ma addirittura incrementando l’occupazione, dato che, per granitica evidenza macroeconomica,. centrali a gas, metanodotti e rigassificatori non portano occupazione stabile nel tempo.

 

8. configurazioni virtuali e fisiche presentate non sono compatibili ambientalmente

Ogni nuova centrale a gas, rigassificatore, metanodotto o rete gas dovrà attraversare territori selvaggi, protetti, montuosi, che sono la perla della Sardegna. Tutte queste nuove opere, oltre a produrre inevitabili danni ambientali, produrrà conflitti sociali, come è avvenuto per TAP in Salento o come sta avvenendo in Umbria per la rete Adriatica SNAM.

Un’Autorità di regolazione come ARERA dovrebbe prognosticamente garantire l’ambiente  e l’interesse e i diritti  delle popolazioni locali, giacché su di essa incombe la priorità dell’interesse pubblico, non quello di singoli privati.

Invece, addirittura essa abdica alla funzione di valutazione complessiva e integrata degli interessi in gioco, come se i tempi della regolazione energetica non fossero immersi nella società e in quella “preoccupazione” per il cambiamento climatico, che fonti giuridiche vincolanti tutti gli attori (compresa ARERA), assumono a parametro di orientamento appunto dell’interesse pubblico.

Ma anche di questo lo studio RSE non fornisce spunti.

ARERA e studio RSE si pongono deliberatamente in una prospettiva di “decontestualizzazione” dell’interesse pubblico da perseguire.

 

9. Singolarità giuridica della procedura in base all’art. 2050 Cod. civ.

Il fatto è molto singolare, se si tiene conto che qualsiasi la Procedura riferita alla Metanizzazione della Sardegna è destinata a rientrare nella fattispecie di cui all’art. 2050 Cod. civ.

Giova ricordare che costituiscono attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ. non solo quelle qualificate come tali dalla legge generale e dalle leggi speciali (leggi speciali nel cui novero rientrano, per giurisprudenza italiana, le fonti di diritto internazionale a contenuto speciale di tutela delle persone, come la UNFCCC, la cui ratio è rivolta a garantire “benefici” – Benefits – alla presente e alle future generazioni), ma anche le “diverse attività che comportino una rilevante probabilità di verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi utilizzati” [Cass. civ. n. 10300/2007], probabilità da testare sulla base di una valutazione “prognostica” [Cass. civ. n. 10268/2015], basata sulla scienza, per necessario ossequio alla L. 65/1994.

Ora, sin dal contenuto sostanziale stesso della Procedura (la “Metanizzazione della Sardegna”) si comprende quanto segue:

a) l’oggetto della Procedura consiste sia nell’avvio di una “nuova attività” (al momento non esistente), ma anche nella “sostituzione delle Unità” che compongono un’attività già in corso;

b) tale attività già in corso si fonda su Unità di produzione a carbone;

c) tale attività già in corso è dunque già rientrante nella fattispecie dell’art. 2050 Cod. civ., per espressa previsione legale e per unanime consenso scientifico;

d) inoltre, tale attività già in corso, proprio perché a carbone, rientra altresì nella fattispecie europea dei processi “in via di abbandono” (c.d. “phase out“);

e) la ratio di tale “phase out” è quella dell’abbandono, graduale ma definitivo e irreversibile, di qualsiasi fossile dai processi produttivi, in quanto causa, qualsiasi fossile, dell’aumento delle concentrazioni di CO2 equivalente nell’atmosfera e conseguente produzione di effetti di destabilizzazione del sistema climatico e di aumento della temperatura terrestre;

f) pertanto, quella già in corso in Sardegna (il parco termoelettrico sardo, attualmente basato in larga misura su impianti di generazione a carbone – Fiume Santo: 2 x 320 MW e Sulcis: 340 MW + 240 MW -, dei quali, in accordo con il PNIEC, é prevista la chiusura entro il 2025, l’impianto in tecnologia IGCC (575 MW) alimentato dai residui della raffineria Sarlux di Sarroch ed in convenzione CIP6 fino al 2021 (con limitate caratteristiche di flessibilita ai fini della riserva e del bilanciamento) con le Unità a carbone, è un’attività

pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ.,

“in via di abbandono definitivo”, secondo la ratio del “phase out” nei confronti del

fossile;

g) in più, poiché la ratio del “phase out” risiede nell’uscita dal fossile a causa della sua natura climalterante, la specifica pericolosità ex art. 2050 Cod. civ., riconosciuta alla produzione con Unità di carbone, riguarda non solo i suoi settoriali e territoriali impatti locali, bensì e soprattutto i suoi effetti locali/globali sul “Global Potential Warming” del Pianeta, secondo i nessi di causalità legale e materiale definiti dall’UNFCCC;

h) per cui, la pericolosità ex art. 2050 Cod. civ. dell’attività produttiva a carbone, oltre che “ambientale”, è anche “climatica” (nei termini legali già definiti e disciplinati sempre dall’UNFCCC);

i) tuttavia, la Procedura propone una sostituzione di fossile con fossile presupponendo una comparazione tra unità energetiche diverse di matrice fossile (carbone vs. metano) di attività “pericolose” ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ.

 

10. Interrogativi cui deve rispondere qualsiasi PA

Alla luce dell’inquadramento giuridico a fondamento della Procedura, la PA, nel valutare la “compatibilità ambientale” dello stesso, si trova di fronte a un duplice interrogativo quasi paradossale:

1) come valutare la sostituzione di Unità di un’attività pericolosa, ex art. 2050 Cod. civ., già in corso e quindi già produttiva di danni ambientali e climatici, con altre Unità per la medesima attività pericolosa?

2) come valutare la sostituzione di tali Unità, quando entrambe sono fossili e quindi dannose per l’ambiente e per il clima?

In realtà, a questi due interrogativi la PA deve aggiungerne altri due:

3) come valutare tale implementazione o sostituzione comunque climalterante (carbone vs. metano), in un momento di “emergenza climatica”, accertata dalla migliore scienza e dichiarata ufficialmente dal Parlamento europeo, dallo Stato italiano?

4) come valutare tale implementazione o  sostituzione, nel momento in cui le acquisizioni scientifiche accertano che il metano, in ragione di una serie di variabili locali e globali, non è più la c.d. “soluzione ponte”, per cui deve essere anch’esso abbandonato e in fretta a causa del suo “Global Potential Warming” nell’arco temporale 2030/2050?

Alla fine, il dilemma della PA risiede nell’essere legale e logica, come istruttoria e procedimento decisionale, di fronte alla persistenza di una fattispecie ex art. 2050 Cod. civ., ovvero un’attività pericolosa già in corso e già produttiva di danni per l’ambiente e il clima (a causa del carbone), di cui si sostituiscono le Unità fossili proprio per tale ragione di “pericolosità climatica”, valutando l’implementazione o la sostituzione del carbone con altro fossile (il gas) nel rispetto della ratio stessa della Procedura, ossia evitare la persistenza dei danni ambientali e climatici, già inferti dal carbone.

È appena il caso di far presente che tale dilemma soggiace ai vincoli di buona fede degli organi dello Stato nell’adempimento dei numerosi impegni internazionali sul clima, sottoscritti dal Governo italiano (UNFCCC, Accordo di Parigi, 13° SDG, IPCC ecc…) e rientranti nei parametri della “compatibilità ambientale” per previsione dell’art. 3-bis Cod. amb.

 

11. Fatti notori e situazioni di fatto climatiche omesse da ARERA e dallo Studio RSE

Com’è noto, il gas (metano)

a) non solo è rubricato legalmente come sostanza “pericolosa”, “climalterante” e “ambientalmente dannosa”,

b) ma anche è valutato prognosticamente dalla scienza come una minaccia sul “Global Potential Warming“, rispetto al “Carbon Budget” disponibile e ai fenomeni di “Feedback Loop” e “Tippping Points” in atto a livello globale e locale.

 

In ragione di tali dati di fatto, la Procedura deve sottostare a tutti gli oneri di prova imposti dalla citata disposizione del Codice civile, anche al fine di scongiurare sul nascere la lesione, probabile e scientificamente fondata, del principio del neminem laedere, dalla Corte costituzionale italiana eretto a fondamento dello Stato costituzionale di diritto (Sent. n. 16/1992, punto. 3 in diritto) e radicato nella tradizione giuridica comune europea con i c.d. PETL (“Principles of European Tort Law“).

Altrettanto deve pretendersi dalla valutazione ambientale della PA.

Infatti, la Procedura nulla dimostra in merito a:

1) l’utilità ambientale e climatica del nuovo ciclo a gas delle stesse Unità rispetto al “Global Potential Warming” e al “Carbon Budget” disponibile per l’Italia;

2) le prove della migliore scienza sul fatto che il nuovo ciclo a gas contribuisca, per tempi e modi verificabili e scientificamente accertati, al conseguimento degli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici, sottoscritti e formalizzati dallo Stato italiano e dalla UE (parametrati alle scadenze 2030 e 2050);

3) le prove scientifiche che qualsiasi nuovo ciclo a gas renda l’attività già in corso meno pericolosa di quella a carbone, realizzando la condizione, di cui all’art. 2050 Cod. civ., di «aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» (nella considerazione che il danno è già in atto – a causa del carbone da sostituire -, è climatico e non solo ambientale, non è semplicemente futuro o possibile, data la triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, denunciata dalla migliore scienza e dichiarata dalla UE e dallo Stato italiano);

4) l’esistenza di eventuali confutazioni scientifiche, fondate su protocolli di ricerca accessibili e standard di autorevolezza conformi alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale italiana, delle tesi maggioritarie, a livello di letteratura mondiale, riguardanti la dannosità climatica e ambientale di qualsiasi nuovo processo produttivo a gas, a causa della degenerazione dei processi di “Feedback Loop” e “Tipping Points“, innescati dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale della Terra, e del c.d. “Global Potential Warming” rispetto alle metriche e al “Carbon Budget” residuo, concordati dai Governi, compreso quello italiano, nei vari Report (periodici e speciali) dell’IPCC;

5) l’assolvimento, attraverso analisi accertabili di costi e benefici non solo locali ma anche globali, del dovere di precauzione di cui all’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC e del conseguente criterio “in dubio pro clima“.

Ne consegue che, in assenza di tali 5 riscontri e delle relative coperture di evidenza scientifica, non risulta soddisfatto non solo il parametro dell’art. 2050 Cod. civ., ma anche il parametro di costituzionalità dell’art. 41.2 Cost., nella parte in cui legittima l’iniziativa economica privata purché non in contrasto con la sicurezza, e dell’art. 44.1 Cost., nella parte in cui abilita le attività di sfruttamento del suolo purché “razionali” e dunque conformi a parametri scientificamente verificabili di utilità e sostenibilità rispetto al contesto ecosistemico e climatico, presente e futuro.

Già solo per tali palesi lacune istruttorie e di sottrazione all’onere della prova scientifica, la Procedura non è meritevole comunque di accoglimento e va dunque rigettata per illegittimità costituzionale, illogicità manifesta (nella misura in cui assume come “uso razionale” l’utilizzo di una risorsa – il gas – dalla migliore scienza, senza confutazione del proponente, ritenuto dannoso sul sistema climatico e sul “Global Potential Warming“) ed erronea valutazione dei fatti (nella misura in cui si attiva una procedura, ignorando di dover rispettare gli oneri di prova nei termini dell’art. 2050 Cod. civ.).

I contenuti della Procedura, inoltre, ignorano del tutto il contesto territoriale, locale, nazionale ed europeo, in cui il nuovo ciclo a gas dovrebbe inserirsi.

Costituiscono veri e propri “fatti notori” la classificazione dell’Italia tra gli “Hot Spots” climatici del Mediterraneo, soggetti a condizioni di vulnerabilità climatica già in corso e già comprovata da studi istituzionali (come ISPRA, ENEA, ISS) e scientifici (come CNR, ASVIS e altri enti di ricerca e Università, a partire dalla Fondazione CMCC).

La situazione di vulnerabilità del contesto è confermata anche a livello europeo dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, per la quale gli attuali obiettivi di lotta al cambiamento climatico non sono per nulla sufficienti a scongiurare che le condizioni degli “Hot Spots” climatici migliorino (SOER  2020).

Di conseguenza, la Procedura nulla dice, spiega e dimostra, su base scientifica, quale utilità il nuovo ciclo a gas dovrebbe garantire rispetto al parametro della “sicurezza” indicato dall’art. 41.1 Cost., nella specifica espressione fattuale della “sicurezza climatica” presente e futura.

Con tali lacune, la Procedura si presenta contraddistinto dalla totale indifferenza verso il parametro costituzionale della “sicurezza” (climatica, nello specifico), richiesto dall’art. 41.1 Cost.

Anche per questo, esso è viziato da illogicità manifesta ed erronea (per omissione) valutazione dei fatti (necessaria ai fini di verificare la “sicurezza” dell’iniziativa economica indicata dalla Procedura).

 

12.  Inquadramento del contesto fattuale:  la triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, ignorata dalla Procedura

Del resto, la Procedura ignora pure la circostanza, formale e non solo di fatto, che tanto l’Unione europea, quanto l’Italia, abbiano ufficialmente dichiarato la “emergenza climatica e ambientale” (i documenti sono pubblici e di facile reperimento, in ogni caso si consulti www.emergenzaclimatica.it).

La dichiarazione formale di “emergenza climatica” è tutt’altro che priva di rilievo giuridico. Essa, infatti, integra, in primo luogo, i parametri di proporzionalità e razionalità delle decisioni pubbliche.

Inoltre, la dichiarazione di emergenza climatica si collega anche a specifici parametri legali e scientifici, abilitati dall’UNFCCC (nello specifico, dal Preambolo e dagli artt. 1, 2, 3 e 6, nella conformità ai canoni di cui alla Convenzione di Vienna sulla interpretazione dei Trattati).

A tal fine, conviene partire da due constatazioni.

La prima riguarda il cambio di qualificazione giuridica dei fenomeni del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, contenuto nella Decisione n. 1/CP21-2015 dell’UNFCCC. In essa, infatti, i due fenomeni, nell’originario testo della Convenzione rubricati come “influenza negativa” sugli esseri umani e gli ecosistemi, sono stati innalzati a livello di “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile” per gli stessi.

Di conseguenza, ed è la seconda constatazione, i due fenomeni identificano ora una situazione di fatto di esposizione involontaria a tale “minaccia” sia dell’umanità che degli ecosistemi, per di più “urgente” e “potenzialmente irreversibile”[7].

Se la prima constatazione contiene una nuova definizione giuridica dei due fenomeni (si tratta ormai di “minacce”), la seconda ne offre una rappresentazione di fatto nel rapporto con la condizione umana (si tratta di “esposizione involontaria” a tali “minacce”). La conclusione è definitiva ed è condivisa da una letteratura internazionale, scientifica e istituzionale, sterminata.

L’ “esposizione involontaria” si manifesta in due modi:

– come incidenza su tutti i determinanti (fisici, psichici e ambientali) della salute umana (in una dimensione qualificata “One Health“)[8];

– come condizionamento della libertà di stili di vita di ciascun singolo individuo[9].

Pertanto, un’attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ., come quella cui si riferisce la Procedura in valutazione, investe direttamente i diritti fondamentali e umani della persona. Del resto, questo nesso di tutela è stato ufficializzato dall’ONU sin dal 2009, con il Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights on the relationship between climate change and human rights (A/HRC/10/61, 15 January 2009), e reso definitivo nel 2019, con il Joint Statement on human rights and climate change.

Le dichiarazioni di emergenza climatica, pertanto, non possono non essere lette nel quadro delle dichiarazioni ufficiali dell’UNFCCC sulla situazione di “minaccia” “urgente e irreversibile”, rappresentata dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale, e delle acquisizioni dell’ONU sui diritti.

Diversamente opinando si viola palesemente qualsiasi canone di ermeneutica costituzionale.

Tra l’altro la “minaccia urgente e irreversibile”, con i suoi riflessi negativi sui diritti delle persone e gli ecosistemi, è confermata dalla migliore scienza.

Infatti, proprio la migliore scienza parla di emergenza ecosistemica[10] e climatica[11], aggravata dall’urgenza del necessario rapido abbandono di qualsiasi opzione di transizione energetica ancora fossile, a partire dal metano[12], perché non risolutiva degli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale, fissati dall’Accordo di Parigi del 2015[13].

In tal senso, si deve parlare di emergenza triplice.

è la prima volta che succede nella storia.

Si tratta di una emergenza globale e locale al tempo stesso, irreversibile e anch’essa scientificamente certa, che contribuisce ad aggravare e accelerare i meccanismi di “Feedback Loop” del sistema climatico e rendere sempre più vicini quegli esiti catastrofici, classificati dal V Report del Panel intergovernativo ONU sul cambiamento climatico (IPCC-AR5 2013-14) come “Tipping Points” del sistema Terra: soglie critiche di irreversibilità, raggiunte le quali si originano effetti rapidi e significativi di sconvolgimento dell’anello di azioni, retroazioni e interazioni tra mutamenti ecosistemici, accelerazione nelle emissioni di gas serra, conseguente aumento della temperatura terrestre, autoriscaldamento fuori controllo, peggioramento delle condizioni di vita degli esseri viventi (compresi gli umani).

Giova, in proposito, richiamare almeno tre studi, dai contenuti allarmanti e nel contempo significativi per le loro implicazioni ai fini della presente valutazione.

α]

Il primo è quello che ha accertato il raggiungimento di nove degli undici “Tipping Points” individuati dall’IPCC. In esso, si parla di “minaccia esistenziale” per la civiltà umana (ancora una volta una “minaccia”), non compensabile da alcuna analisi costi-benefici di carattere esclusivamente economico o energetico, e vincolata, come via di uscita, al dovere di agire senza esitazioni e in tutti i modi utili a mantenere la temperatura entro 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali per il 2030[14].

Questo studio consegna l’accertamento di un “dovere di azione” e di “astensione” in funzione di tempi stretti di adempimento climatico (2030), incombente su Stati e operatori economici, a maggior ragione in capo a chi già svolge attività ambientalmente e climaticamente dannosa ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ.

Il secondo studio riguarda lo stato delle migliori conoscenze scientifiche disponibili sulle previsioni future di rischio nei diversi scenari di aumento delle temperature e quindi di aggravamento della “minaccia”.

La rassegna espone ipotesi solo peggiorative, a partire dal periodo 2030-2050, secondo la seguente scansione:

temperature > 1,5°C, scenario pericoloso;

temperature > 3°C, scenario catastrofico;

temperature > 5°C, scenario sconosciuto[15].

Questo dato è rilevante sul fronte dell’applicazione concreta, da parte di tutti i decisori istituzionali e privati, del principio di precauzione nella formula “in dubio pro clima“, indicato dall’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, e spiega che, su tutti gli operatori pubblici e privati, incombono doveri di sopravvivenza, non negoziabili né bilanciabili con interessi che non assumano la stabilità climatica e la lotta al “Global Potential Warming” come priorità.

Il che significa, in sintesi, quanto segue:

a) se la conversione a gas de non ostacola il (quindi contribuisce al) superamento della temperatura > 1,5°C al 2030/2050, essa, ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ., consuma un fatto illecito (concorso in produzione di uno scenario accertato come “pericoloso” dalla migliore scienza);

b) se tale conversione a gas non ostacola il (quindi contribuisce al) superamento della temperatura > 3°C al 2030,/2050, la consumazione del suddetto fatto illecito risiede nello scenario accertato dalla migliore scienza come “catastrofico”;

c) se il superamento è addirittura > 5°C, non si sa cos’altro di peggio possa verificarsi con il “Global Potential Warming“.

γ]

Il terzo studio è della Banca dei Regolamenti Internazionali ed è intitolato “The Green Swan[16]: di fatto chiude il cerchio delle acquisizioni dei due studi precedenti. In esso, infatti, si constata come l’emergenza ecosistemica, climatica e fossile abbia imposto una sferzata inedita alla variabile temporale delle previsioni di rischio e alle comparazioni costi/benefici. Tale sferzata è denominata “Tragedy of Horizon“: abbiamo poco tempo per decidere in modo risolutivo (obiettivi al 2030 per il 2050), perché la variabile temporale è sfuggita di mano, non è più controllabile.

La constatazione è drammatica: essa alimenta fondati e comprovati dubbi sulla effettiva utilità economica, sociale e ambientale di azioni, opere e infrastrutture, progettate e pensate per tempi “normali”, ossia sulla base di analisi costi/benefici di carattere esclusivamente economico ed energetico (del tutto insufficienti, come accerta il citato studio sui “Tipping Points“) e con previsioni di rischio proiettate su scenari temporali immaginati statici e immutabili o di lungo periodo, quando invece ormai sono in irreversibile trasformazione e peggiorativi sin dal breve periodo (come riconosce lo studio sugli scenari di aumento della temperatura al 2030).

La “tragedia dell’orizzonte” temporale sottopone le strategie a precoci obsolescenze di pianificazione (come sta succedendo per il PNIEC italiano, “nato vecchio” nei suoi obiettivi di riduzione delle emissioni rispetto agli indirizzi europei sulla riforma del Reg. UE 1999/2018 e alle urgenze emerse dalle indagini scientifiche sugli scenari futuri, dal citato SOER 2020).

La tradizionale logica progettuale, fondata sul quadrinomio previsione-pianificazione-azione-esecuzione, ne esce disorientata e spiazzata: essa non controlla più la variabile temporale, soprattutto se non tiene conto della triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile.

Giova osservare che tale triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile non ha nulla in comune con le emergenze “ambientali”.

Infatti, queste ultime sono fondate su quattro caratteristiche:

a) sono eventi temporanei (il concetto giuridico di “urgenza” nasce da tale rappresentazione della realtà);

b) non sono prevedibili;

c) non sono imputabili esclusivamente all’azione umana (altrimenti sarebbero classificate come “condotte illecite”);

d) non sono trasformative della convivenza umana (dopo l’emergenza, si ritorna alla situazione “normale” precedente).

L’emergenza ecosistemica, climatica e fossile purtroppo è altro.

Quest’ultima:

a) piuttosto che un evento temporaneo, è un insieme di processi planetari critici irreversibili e peggiorativi (si pensi ancora una volta ai “Tipping Points“):

b) piuttosto che “imprevedibile”, è stata preannunciata in vario modo da oltre un secolo (basterebbe ripercorrere gli studi di Eunice Foote, John Tyndall, Svante Arrhenius, William Stanley Jevons, John Herschel, Rudolf Clausius, Nikola Tesla, Giacomo Ciamician, Guy Stewart Callendar, Barry Commoner, Wallace S. Broecker);

c) piuttosto che non imputabile all’azione umana, risulta esclusivamente antropogenica, dato che il margine di incertezza scientifica sulla “minaccia urgente” è inconsistente, in ragione della quantità di studi che ne confermano:

– le ipotesi scientifiche[17],

– il consenso sul lavoro svolto dall’IPCC[18],

– l’osservazione validante degli scenari ipotizzati[19],

– l’emersione empirica dei fatti previsti[20],

– la robustezza delle probabilità statistiche[21];

d) invece che non trasformativa, è l’esatto opposto e in forma peggiorativa, nei termini sintetizzati dalla citata immagine del “Green Swan” e dai “Tipping Points” (il dopo-emergenza – se mai si conseguirà – sarà comunque peggio del presente).

Dal punto di vista legale, di questa triplice emergenza sono soddisfatti tutti i più rigorosi scrutini giuridici di c.d. “sussunzione” sotto leggi scientifiche.

In altri termini, sulla fondatezza, scientifica e statistica, della “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile”:

a) si è dentro la condizione del “più probabile che non

b) e persino dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio“.

 

13. L’omissione dolosa della considerazione del metano come minaccia

sul “Global Potential Warming” e sul “Carbon Budget”

Nonostante questo panorama mondiale della scienza, formalizzato da plurime istituzionali dichiarazioni di emergenza climatica e ambientale, la Procedura si presenta come se “nulla fosse”, dentro un presunto, ma non dimostrato scientificamente, quadro di “normalità” della realtà ecosistemica, climatica e fossile italiana, europea e planetaria, preoccupato solo di settoriali impatti ambientali e di prospettive esclusivamente economiche ed energetiche.

In quanto tale, essa è lacunosa, quindi illegittima e quindi in nessun modo ammissibile.

In più, l Procedura propone una conversione di un impianto fossile con altro fossile, dolosamente ignorando tutte le acquisizioni della migliore scienza sul metano e la sua natura di “minaccia” rispetto alle metriche temporali del “Global Potential Warming” al 2030/2050 e del “Carbon Budget” residuo per l’Italia.

In effetti, la letteratura della migliore scienza su questi temi è talmente vasta, da poter essere sintetizzata solo nei suoi passaggi essenziali, che a breve si riporteranno.

Infatti, preliminarmente si potrebbe obiettare – con una buona dose di formalismo – che la Procedura risulterebbe “coerente” al PNIEC italiano.

Tuttavia, il PNIEC è “nato vecchio”, come riconosciuto in forma confessoria e di dichiarazione ambientale proprio dallo stesso Ministro dell’ambiente Sergio Costa[22].

Infatti, tale sua precoce obsolescenza deriva dalla non conformità con i nuovi obiettivi UE, introdotti con la riforma (in corso) del Reg. UE 1999/2018.

Inoltre, il PNIEC equivoca del tutto il concetto di “efficienza energetica”, parametrandola economicisticamente solo al fabbisogno di consumo, quando invece l’efficienza energetica è ormai parametrata alla sua sostenibilità rispetto agli obblighi di mitigazione climatica delle politiche statali ed europee (come richiesto dal SOER 2020).

Non a caso, la UE ha osservato l’assenza di un approccio tridimensionale di “Climate Change and Environmental Degradation“, focalizzato sulla congiunta valutazione 1) climate change, 2) air pollution and 3) loss of ecosystem goods, resources and services[23].

Da questo enorme equivoco nasce il favor – privo di qualsiasi fondamento scientifico perché non più condiviso dalla migliore scienza – per il fossile, quale soluzione al problema del cambiamento climatico, pur essendone causa determinante.

Inoltre, se il PNIEC dovesse essere attuato così come scritto, ci vorrebbero 67 anni (invece di 10) per il suo effettivo adempimento[24].

Si spiegano così le promesse al pubblico contraddittorie e concettualmente illogiche e schizofreniche dei rappresentanti del Governo e del PNIEC stesso, ai sensi dell’art. 1989 Cod. civ.:

–         in esse, si riconosce che gli interventi necessari per la crescente decarbonizzazione del sistema richiedono impianti e infrastrutture che possono avere impatti ambientali, ma nulla si dice di tali impatti;

–         in esse si accetta la permanenza di sussidi fossili, dichiaratamente indicati “dannosi all’ambiente”;

–         in esse si riconosce di non aver mai valutato l’utilità climatica di nuove infrastrutture fossili, come i nuovi gasdotti, ma di puntare su tali nuove infrastrutture per lottare contro i cambiamenti climatici;

–         in esse si parla di eliminazione del carbone nella produzione energetica entro il 2025, ma nel contempo si prevede un aumento di utilizzo del gas metano, senza alcuna valutazione comparativa secondo le metriche di CO2 e CH4, pur indicate dall’IPCC e gli studi scientifici sul cosiddetto processo di “Methane Time Bomb” (che andrebbe tematizzato in base al principio di precauzione);

–         in esse si parla di obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, non contenute nei documenti ufficiali;

–         in esse si dichiarano sia la insufficienza del PNIEC sia la necessità di una sua revisione.

Proprio sullo specifico profilo del metano, poi, il PNIEC contiene promesse – rilevanti sempre ai sensi dell’art. 1989 Cod. civ. – del tutto inverosimili e improbabili, alla luce delle acquisizioni scientifiche mondiali.

Dal punto di vista scientifico, infatti, è ormai ampiamente superato il dibattito sul fatto che il gas metano sia una fonte utile alla transizione energetica verso le rinnovabili. I motivi sono sia di natura “chimica” che economico-strategica, rispetto proprio allo scenario di triplice “emergenza” in cui versa il pianeta Terra[25].

Da un punto di vista prettamente climatico, tenuto conto di tutto il ciclo produttivo, il metano è veramente di aiuto nel sostituire petrolio e carbone e portarci verso l’era del “rinnovabili al 100%”? Com’è fatto notorio, il metano è un gas serra molto più potente della CO2 specialmente su tempi brevi (quindi proprio rispetto alle metriche temporali dell’IPCC al 2030/2050, che il PNIEC ignora, pur essendo state, tali metriche, approvate dai rappresentanti del Governo italiano): oltre 80 volte nei primi 20 anni dalla sua dispersione in atmosfera (oltre al fatto altrettanto notorio che le cosiddette “perdite” di gas nel ciclo produttivo sono sistematiche e costanti).

Lo ammette persino un’analisi di ASPO Italia (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio), intitolata “Il metano rema contro[26], citando altresì uno studio della Cornell University, che ha rivisto il peso delle principali cause nel recente aumento delle emissioni di metano. Ebbene, secondo questo studio, i principali responsabili non sarebbero le sorgenti biogeniche, come si credeva fino a poco tempo fa (zone umide, animali, discariche), ma i combustibili fossili.

Del resto, da tutta la letteratura scientifica si desumono sempre tre costanti sul metano:

–         si parla spesso di “perdite fuggitive” del metano, quando in realtà tali perdite non sono “fuggitive”, giacché esse rappresentano un modo di funzionare tipico dell’industria estrattiva, di trasporto e di trattamento del gas, che sottovaluta questo problema, per non assumersi costi di controllo – pur possibile – che renderebbero meno competitiva questa risorsa, scaricando sulla comunità gli effetti di climalterazione conseguenti;

–         il Report dell’ottobre 2018 dell’IPCC, pretermesso deliberatamente dal PNIEC, ha, fra le altre analisi, notato che il sistema climatico reagisce più prontamente a riduzioni della componente metano rispetto alla componente CO2, e che tale fenomeno offre dunque la possibilità di avere effetti di mitigazione climatica più rapidi e sicuri, in entrambe le direzioni: il che significa che ridurre CH4 è indispensabile quanto ridurre la CO2, sicché l’aumento di CH4 non è affatto il ponte per la riduzione della CO2 equivalente;

–         le emissioni di metano sono in costante e rapido aumento anche a causa dello stesso processo di riscaldamento globale, a partire dallo scioglimento del Permafrost.

Il metano, quindi, non è un “ponte”, ma una “minaccia aggiuntiva”.

Esso, di riflesso, andrebbe tematizzato dal PNIEC nell’ambito come minimo del principio di precauzione climatica (“in dubio pro clima“). Il PNIEC, invece, sembra proiettarsi in una realtà indifferente a queste acquisizioni scientifiche, tributando fiducia al fossile CH4 per la soluzione del fossile CO2, per di più senza nulla argomentare né in termini di confutazione scientifica né in termini di rispetto dei principi di precauzione e prevenzione. Ignorando la scienza, il PNIEC mente sui rischi del metano, formulando una promessa al pubblico italiano di soluzione del problema delle emissioni, colposa e omissiva sul fronte dei rischi – scientificamente accertati e più che probabili – di affidamento sul CH4.

In definitiva, il quadro del PNIEC, che è pur sempre atto sottoposto ai parametri dell’art. 97 Cost., sfugge alle più banali rappresentazioni della imparzialità (dato il favor esplicito al fossile CH4 pur altrettanto esplicitamente dichiarato rischioso e dannoso per la lotta ai cambiamenti climatici) e del buon andamento (data la volontaria esclusione delle acquisizioni della migliore scienza mondiale sulla inutilità climatica di nuove infrastrutture fossili e sulla necessità di perseguire approcci scientificamente documentati, accessibili e verificabili dal pubblico), oltre che della (in)sostenibilità ambientale ed economica nel medio-lungo periodo (2030/2050 concordato a livello internazionale anche dal Governo italiano).

Giova ricordare che tutte queste dichiarazioni/atti del Governo, in quanto rese in sedi pubbliche sia attraverso atti costituzionali, come le risposte al sindacato parlamentare, sia attraverso dichiarazioni di esponenti vincolati al giuramento ex art. 93 Cost., sia attraverso documenti come il PNIEC, costituiscono “informazione ambientale” nei termini ammessi dalla Convenzione di Aarhus, vincolante lo Stato italiano, con gli effetti di cui all’art. 1989 Cod. civ.

Ora, la Procedura, nonostante il quadro lacunoso e privo di fondamento scientifico del PNIEC, nulla dice, con prove scientifica verificabili, a sostegno della propria proposta “a gas”.

Esso ignora la scienza, consequenzialmente non confuta la scienza, di fatto avalla un PNIEC “nato morto” e scientificamente infondato.

Infine, la Procedura ignora le seguenti acquisizioni sulla dimensione biosferica, atmosferico-climatica ed economico-energetica della più volte citata triplice emergenza[27].

La manifestazione biosferica è segnata dai seguenti dati emergenziali.

1) La condizione di “deficit ecologico” dell’intero Pianeta, ovvero l’incapacità di rigenerazione della biosfera rispetto al consumo umano crescente di beni, risorse e servizi ecosistemici, sulla spinta delle emissioni fossili[28] e dell’impronta umana superiore a quella di qualsiasi altro vivente. Dagli albori della civiltà, l’umanità ha causato la perdita dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e del 50% delle piante[29]. Inoltre, essa ha contribuito unilateralmente al degrado del suolo[30].

2) L’avvenuto superamento di tre dei nove “Planetary Boundaries” (precisamente: cambiamenti climatici; riduzione della biodiversità; stravolgimento del ciclo dell’azoto), scientificamente individuati come condizioni di sicurezza della stabilità dell’intera biosfera[31].

3) Il raggiungimento di nove degli undici “Tipping Points” individuati dall’IPCC (tra cui l’inversione dell’AMOC[32]) costituenti una minaccia esistenziale per la civiltà umana, non compensabile da alcuna analisi costi-benefici perché con l’unica opzione, come misura precauzionale, del mantenimento delle temperature entro 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali e la contestuale riduzione immediata e drastica delle emissioni fossili[33].

4) La perdita di biodiversità e l’urgenza di promuovere il suo recupero e non solo la sua salvaguardia. L’Open-Ended Working Group on the Post-2020 Global Biodiversity Framework (WG2020) e studi scientifici giungono alla conclusione che, per fermare il declino, evitando i peggiori impatti del cambiamento climatico, si deve proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030 e almeno il 10% di questa area, sia terrestre che oceanica, deve essere posto sotto protezione indisponibile, dato che, attualmente, solo il 15% delle terre emerse e il 7% di mari e oceani sono protetti[34].

5) La c.d. “sesta estinzione di massa”, ipotizzata già intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso[35], ma resa evidente nel 2011, quando la comparazione tra dati fossili e dati sul sistema di vita esistente ha confermato che gli attuali tassi di estinzione sono più alti del passato[36], con la probabilità che almeno un terzo delle specie animali e vegetali esistenti potrebbe scomparire nell’arco di 50 anni, anche a causa del cambiamento climatico[37].

6) Il possibile collasso degli ecosistemi nel 2030[38] e il ritorno a condizioni addirittura del Triassico[39].

Le manifestazioni emergenziali atmosferico-climatiche sono le seguenti.

7) Il superamento dei 350 ppm (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera, ovvero la “soglia di sicurezza” per evitare rischi irreversibili per il genere umano. Tale soglia fu individuata da James E. Hansen del Goddard Institute for Space Studies della NASA, sulla base delle conoscenze storiche di concentrazione di CO2 nelle ere passate. In meno di 150 anni, sono state raggiunte e superate le 400 ppm, quantità conosciuta solo in tempi precedenti la comparsa della specie umana sulla terra. Per tale motivo, 350 ppm segna la “soglia di salvaguardia della specie umana” sulla terra: aumentando, aumenta l’incertezza della sicurezza umana sulla terra[40].

8) La dimostrazione, attraverso la c.d. “equazione dell’antropocene”, della preponderanza assoluta dell’azione umana sul cambiamento climatico, (con una intensità temporale e quantitativa superiore a qualsiasi processo naturale)[41] e la definitiva dimostrazione della effettiva esistenza di soglie di irreversibilità del sistema Terra nella sua stabilità climatica[42].

9) L’imminente esaurimento del “Carbon Budget” globale ancora disponibile come emissioni di CO2 equivalente a livelli non pericolosi, anche perché è stata dimostrata la sottostima delle quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera, con la conseguente revisione in peius dei tempi di conseguimento dei livelli potenzialmente catastrofici per l’ambiente e l’umanità[43], che sembrano ormai assestarsi nell’arco di non più di un decennio.

10) La crisi del “Carbon Sink“, ossia la scoperta che le foreste tropicali, anche a causa degli enormi incendi che hanno sconvolto Amazzonia e Australia, stanno riducendo sensibilmente la propria capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera, con l’inevitabile accelerazione del processo di surriscaldamento del Pianeta[44].

11) La possibilità di effetti negativi sconosciuti del riscaldamento globale, alla luce dello scenario di “minaccia” ipotizzato proprio dall’Accordo di Parigi, in caso di aumento della temperatura oltre l’1,5°C[45].

Le manifestazioni emergenziali di carattere economico-energetico si riassumono nelle seguenti evidenze.

12) Il “Climate Breakdown”, ossia l’incidenza dei fenomeni atmosferici estremi (dalle siccità alle alluvioni) sulla stabilità dei sistemi economici, sociali e politici, con connessa disaggregazione delle relazioni tra società e ambiente nella previsione dei costi e dei danni economici e umani, definiti “Feedback” socio politici[46], in vario modo calcolabili, come col sistema DICE[47] del premio Nobel William Nordhaus.

13) Il “Production Gap” evidenziato dall’UNEP, da cui risulta che gli stessi impegni di contenimento delle emissioni da parte degli Stati, a parità di indici di crescita, non sono sufficienti al conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015[48].

14) Il connesso “Circularity Gap”, ovvero la circostanza che il tasso di circolarità dell’economia mondiale (che misura la percentuale fra l’impiego di materiali derivati o riciclati e totale degli altri) resta molto basso[49].

15) L’effetto “Win-Lose” delle regole giuridiche di controllo dell’inquinamento, separate da quelle sulla lotta al cambiamento climatico, che mette in discussione gli stratagemmi di bilanciamento adoperati dal diritto per contemperare interessi umani e dinamiche naturali, come dimostrato da Martin Williams[50] con la scoperta della connessione circolare tra inquinamento dell’aria e cambiamento climatico.

16) L’insufficienza delle misure esistenti di “Carbon Tax” al fine di disincentivare attività emissive inquinanti e climalteranti, dato che l’85% delle emissioni di CO2 è generato da settori diversi dal trasporto su strada, mentre le poche forme di tassazione si concentrano solo su quest’ultimo[51].

17) La persistenza dei c.d. “sussidi fossili” (o “ambientalmente dannosi”), denunciati persino dal Fondo Monetario Internazionale nel divario tra prezzi praticati, per giustificarli, e ricavi effettivamente ottenuti dalle imprese sussidiate[52].

18) Il profilarsi di rischi economico finanziari incalcolabili nella loro gravità. Il Report 2020 della Banca dei regolamenti internazionali[53] constata che le analisi tradizionali non possono anticipare con adeguata accuratezza le caratteristiche che avranno i rischi legati all’emergenza climatica: tra questi, il più grave è il c.d. “Cigno verde”, ossia il verificarsi di effetti finanziari con un potenziale estremamente distruttivo, che potrebbero portare a crisi finanziarie sistemiche bisognose di un vero e proprio “Epistemological Break“. Alle medesime conclusioni giunge l’analisi del rischio della Banca J.P. Morgan[54].

19) Il difficile doppio “disaccoppiamento”, economico-energetico, da una parte, tra crescita del PIL e riduzione delle emissioni (presupposto della prospettiva della “crescita verde”)[55], ed economico-ecosistemico, dall’altra, a causa della produzione di sprechi e di predazione di risorse ecosistemiche[56].

Sul piano energetico, poi, la transizione verso sistemi che contribuiscano alla lotta al cambiamento climatico è messa ulteriormente in crisi dalla c.d. “emergenza metano”. In estrema sintesi, essa risiede in una serie di constatazioni, così di seguito rappresentabili.

20) Gran parte delle emissioni di metano nell’atmosfera è dovuta all’uso dei combustibili fossili, non invece a fenomeni naturali, e la percentuale di tale contributo è maggiore di quanto sia mai stato calcolato prima[57].

21) Intorno alla utilità climatica del metano sono venute meno tutte le certezze scientifiche sia sul fronte delle emissioni che su quello delle sua proprietà di mitigazione, dato che, mentre la quantità di fughe di CH4 è stata ampiamente studiata, l’entità e i tempi della sua presunta funzione mitigatoria permangono incerti[58].

22) Si registra una sottostima degli impatti climatici della presunta “soluzione ponte”, sicché l’idea della transizione energetica “dal fossile attraverso il fossile” (“Low Carbon“) appare ormai priva di verosimiglianza scientifica e, da soluzione, si è tradotta in nuovo problema[59].

23) Il “Global Potential Warming” del metano è sempre più alto, anche a causa dello scioglimento del permafrost, in quanto le maggiori riserve naturali di questo gas fuoriescono come bolle (Methane Bubbles) che esplodono in atmosfera, attivando un processo di c.d. termocarsismo, le cui dimensioni non sono risultate apprezzate in passato e non sono riconducibili alla già nota metanogenesi.

24) La denuncia della “falsa promessa del gas” per la salute del Pianeta è stata resa pubblica[60].

Tutta questa mole di studi scientifici è completamente ignorata dalla Procedura.

Né a tale mole di studi, qui tra l’altro sintetizzati in quantità di citazioni, la Procedura propone controprove di natura altrettanto ecosistemica, atmosferico-climatica ed economico-energetica, secondo la logica dell’art. 115 Cod. proc. civ., basate sulla migliore scienza.

NULLA.

La Procedura prospetta una iniziativa meramente energetica e di mercato, pur presupponendo che le Unità a carbone siano già climaticamente dannose.

In definitiva si tratta di una Procedura priva sul nascere di qualsiasi valenza:

di strategicità climatica e ambientale,

di utilità sociale;

di conformità alla migliore scienza;

di corrispondenza a interessi pubblici meritevoli di tutela.

 

14. Difetto totale di istruttoria nella Procedura

Invero, con tutte le lacune scientifiche elencate, la Procedura è viziata sul nascere di difetto assoluto e totale di istruttoria.

Ignorare tutto questo consumerebbe a sua volte un abuso di potere, censurabile nelle sedi di competenza, per illogicità manifesta e difetto consequenziale di istruttoria, irrazionalità rispetto alle migliori conoscenze scientifiche disponibili, violazione del criterio “in dubio pro clima“, violazione del diritto europeo (si v., tra le tante, l’Opinione dell’Avv. Gen. J. Kokot in causa C-444/15, nonché cause riunite C-196-197/16).

 

15.  Illogicità manifesta ed erronea valutazione dei fatti nella Procedura

con riguardo al “Carbon Budget” residuo italiano

La Procedura nulla dice in merito alla sua compatibilità con il “Carbon Budget” residuale per l’Italia e la finestra temporale del 2030, indicata sia dai 17 SDGs sia dal Report speciale IPCC di ottobre 2018, accolta dall’Italia nella sua adesione agli uni e all’altro.

Il “Carbon Budget” è la quantità massima di emissioni di CO2 equivalente, compatibile con la ragionevole possibilità di conseguire determinati obiettivi di mitigazione. Tale strumento è fatto proprio dall’IPCC, con il consenso dei rappresentati degli Stati, compresa l’Italia.

Il “Carbon Budget” non coincide con le riserve di combustibili fossili accertate, proprio perché parametrato esclusivamente agli obiettivi climatici, non a quelli energetici né tanto meno a quelli economici.

Questo significa che, per garantirsi un qualsiasi “Carbon Budget” nazionale, non si deve ragionare di solo fabbisogno energetico o di potenzialità del mercato dell’energia e di sicurezza energetica, in quanto tale approccio “Marked Oriented” condurrebbe,

–         da un lato, a ignorare gli impatti climatici delle scelte energetiche compiute nonché la mancata considerazione degli obiettivi di neutralità climatica, concordati a livello europeo e internazionale,

–         dall’altro, assecondando l’estrazione fossile in nome di una visione energetica priva di valutazione di impatti climatici, a distorcere il mercato stesso dell’energia, a favore di Asset di ostacolo alla lotta ai cambiamenti climatici, con conseguente effetto di “aiuto di Stato” delle decisioni energetiche nazionali (verso appunto Asset favoriti dallo Stato ancorché dannosi al clima)[61].

Del “Carbon Budget“, però, la Procedura non parla. Eppure di riscontri scientifici per orientarsi sul “Carbon Budget” non mancano.

Secondo la letteratura e la discussione scientifica interna all’IPCC, solo per rimanere all’interno della soglia dei 2°C nel secolo in corso – soglia, come si è accennato, già superata dalla UE, per garantire invece quella dell’1,5°C attraverso la revisione del Reg. UE 1999/2018 – le emissioni cumulate di CO2 non dovranno superare le 1.100 Gt. Secondo la IEA, le emissioni che deriverebbero dall’utilizzo delle riserve accertate già al 2012[62] di combustibili fossili – carbone, petrolio e gas – sono pari a 2.860 GtCO2. Ne consegue che, se verranno implementate politiche efficaci per il contenimento delle emissioni al di sotto dello scenario dei 2°C, non potranno essere estratti dal sottosuolo combustibili fossili pari ad almeno il 60% delle emissioni potenziali.

In merito, una ricerca pubblicata su Nature[63] calcola che metà delle riserve di gas dovrebbero rimanere inutilizzate solo per garantirsi il conseguimento del target dei +2°C.

Ma uno studio più recente ha calcolato che il Budget di carbonio restante per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sarà esaurito già nel 2028[64]; e questo, nonostante la transizione energetica Low-Carbon stia comunque accelerando, col rischio, dunque, di non centrare comunque l’obiettivo globale dell’Accordo di Parigi.

Pertanto, il calcolo del “Carbon Budget” nazionale è fondamentale per garantire che la Procedura in valutazione risulti ragionevole, proporzionato e conforme ai principi di precauzione, prevenzione, correzione alla fonte, “sviluppo sostenibile”, non regressione e per “migliorare anche in futuro” l’ambiente, come richiesto dal Cod. amb., oltre che dai Trattati internazionali e dal criterio “in dubio pro clima“.

Diversamente, come purtroppo fa la Procedura, ignorare tutto questo serve ad alleggerire l’impegno per la decarbonizzazione dell’intera economia (non solo del settore energetico) nei prossimi 15 anni, per ritrovarsi poi, dopo il 2030, a inseguire tassi di riduzione ancora più alti di quanto sarebbe stato necessario (quindi un risultato peggiorativo e un conseguente fatto illecito ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ.).

Tra l’altro, alcuni studi attestano che l’intensità media di carbonio, in rapporto al PIL globale, stia sì calando, ma molto meno di quello che servirebbe per limitare l’aumento delle temperature a +1,5°C[65].

Il che significa che la considerazione del “Carbon Budget” diventerà ineludibile sempre più col passare del tempo.

Non a caso, a livello scientifico, si parla ormai di “Speed of Energy Transition“, come recita il Rapporto pubblicato dal Global Future Council on Energy del World Economic Forum[66].

E si parla anche di necessaria valutazione comparativa fra transizione “Coal to Gas” e transizione “Coal to Clean“, dato che l’Italia potrebbe rinunciare del tutto al carbone entro il 2025, senza investire in nuove infrastrutture a gas e puntando su energie rinnovabili, sistemi di accumulo e controllo della domanda.

In tal senso, per esempio, è la posizione dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) sull’uscita dal fossile “in modo sicuro, giusto e sostenibile“, che la Procedura avrebbe come minimo il dovere di considerare[67].

Ma anche su questo, la Procedura in valutazione tace.

Quindi, la mancata considerazione del “Carbon Budget” nazionale, nella finestra temporale del 2030 indicato dall’IPCC e dai 17 SDGs ONU, consuma, in capo alla Procedura, una illegittimità anche euro-unitaria inammissibile, per:

–         violazione del principio di “sviluppo sostenibile”, in quanto non si opererebbe in vista del “miglioramento anche futuro” dell’ambiente, pur imposto dal diritto europeo e dal Cod. amb.;

–         illogicità manifesta, giacché la questione della tempistica della transizione energetica è fondamentale sulle decisioni di investimento delle imprese e sulle aspettative di qualità della vita del pubblico.

Del resto, in questo quadro lacunoso si spiega la fumosità anche del Phase out” dal carbone al 2025, di cui parla il PNIEC come unico ambito di decarbonizzazione (ma come carbone e non come carbonio). Una parte consistente delle riduzioni di CO2 e dei risparmi di energia primaria del PNIEC sarebbe appunto fornita dalla chiusura delle centrali a carbone entro il 2025.

In realtà, il PNIEC ha sostanzialmente confermato quanto indicato nella Strategia Energetica Nazionale del 2017 (SEN 2017). Tuttavia, il Piano non identifica ancora gli strumenti di implementazione che permettano di raggiungere gli obiettivi fissati, come per esempio il CFP (Carbon Floor Price) e l’EPS (Emission Performance Standard), onde permettere di introdurre segnali di prezzo e scadenze normative coerenti con la programmazione della chiusura delle centrali a carbone.

Né la Procedura chiarisce qualcosa in merito.

Tuttavia, la Procedura non può operare in un campo “Law free”.

Esso deve tener conto di tutti i dati scientifici indicati, perché così presupposto da vari articoli del Cod. amb., a partire da

a) il già citato “principio dello sviluppo sostenibile“, di cui all’art. 3-quater (dove, tra l’altro, si impone che l’azione ambientale di qualsiasi ente – compreso il privato – si traduca anche in doveri di solidarietà – radicati nell’art. 2 Cost. – “per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro” [enfasi ns.];

b) l’art. 2 (finalità delle azioni per il “miglioramento delle condizione dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” [enfasi ns.];

c) l’art. 3-bis (diretto riferimento alla “attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della Costituzione“, anche per gli atti “di indirizzo” … “purché sia comunque sempre garantito il rispetto del diritto europeo, degli obblighi internazionali e delle competenze delle Regioni e degli enti locali” [enfasi ns.];

d) l’art. 4 n. 3 (compatibilità con “le condizioni per uno sviluppo sostenibile“, nel “rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi“, per la “equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica“, con la “valutazione preventiva integrata … di informazione ambientale” [enfasi ns.];

e) l’art. 4 n. 4 (l’approvazione dei piani deve operare “assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni di uno sviluppo sostenibile” [enfasi ns.];

f) l’art. 5 (definizione delle “emissioni” anche da “fonti diffuse” e richiamo generale alla “normativa vigente in materia ambientale“, compresa quella di “di qualità ambientale“);

g) l’art. 6 (nella parte in cui la valutazione ambientale strategica parla di “possibilità” di “impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale“, in tutti i settori, compreso quello energetico);

h) l’art. 268 (nella parte in cui anche la tutela dell’atmosfera è perseguita in via preventiva per non “ledere o … costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente” oppure non “ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente“).

Tale quadro di obblighi giuridici in capo a qualsiasi operatore pubblico o privato si traduce in un triplice assetto di doveri, di cui la Procedura avrebbe dovuto dare conto:

–         di protezione dei diritti delle persone;

–         di miglioramento anche futuro dell’ambiente;

–         di effettiva valutazione comparativa delle soluzioni alternative non solo semplicemente praticabili ma soprattutto necessarie al miglioramento presente e futuro dell’ambiente, proprio perché si tratta di una valutazione su cui comparare scelte estese, in modo contestuale, tanto alla dimensione propria dei singoli settori di riferimento (nel caso di specie energetico ma anche climatico quindi ecosistemico) quanto a quella della precauzione climatica e dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015.

Ma anche su questo fronte, si deve riscontrare il NULLA nei contenuti della Procedura.

 

16. Impossibilità di alternative fossili nel rispetto del criterio “in dubio pro clima”

e del divieto di sostituzione di fatti illeciti con altri fatti illeciti

Proprio alla luce della migliore scienza, non esistono alternative “fossile/fossile” (“Coal to gas“), che risultino conformi al criterio “in dubio pro clima” e al divieto di sostituzione di fatti illeciti con altri fatti illeciti.

Per uscire da questo circolo vizioso, l’unica alternativa con i migliori vantaggi climatici locali e globali è quella del definitivo “fuori del fossile” (“Coal to clean“).

Eppure, dal combinato disposto degli articoli citati del Cod. amb. con la Convenzione di Aarhus del 1998 e con l’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, entrambe operanti nel contesto delle fonti del diritto italiano nella funzione di lex specialis abilitata dall’art. 117.1 Cost., si desume a quali doveri la Procedura avrebbe dovuto sottostare, per risultare come minimo “presentabile” e “ammissibile” ai fini della valutazione ambientale, oltre che per adempimento dell’art. 2050 Cod. civ.

Basta leggere, per tutti, l’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC.

Conviene riportarne il contenuto: «Le Parti devono adottare misure precauzionali per rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minimo le cause del cambiamento climatico e per mitigarne gli effetti negativi. Qualora esistano rischi di danni gravi o irreversibili, la mancanza di un’assoluta certezza scientifica non deve essere addotta come pretesto per rinviare l’adozione di tali misure, tenendo presente che le politiche e i provvedimenti necessari per far fronte al cambiamento climatico devono essere il più possibile efficaci in rapporto ai costi, in modo da garantire vantaggi mondiali al più basso costo possibile».

Si tratta di una disposizione immediatamente vincolante, in quanto scandisce:

a) un dovere positivo tassativamente riferito al cambiamento climatico antropogenico, non al generico ambiente;

b) da adempiere attraverso il triplice metodo della rilevazione anticipata, della prevenzione e della riduzione delle cause (non degli effetti) del fenomeno;

c) finalizzato a garantire “vantaggi mondiali al più basso costo possibile”;

d) non rinviabile con il “pretesto” della incertezza scientifica;

e) anche perché tale incertezza, come indicato nel Preambolo sempre dell’UNFCCC, è riferibile alle manifestazioni temporali e grandezze regionali del fenomeno, non all’imputazione umana;

f) incombente su tutti i soggetti pubblici e privati climalteranti, quindi anche alle imprese rientranti nelle attività di cui all’art. 2050 Cod. civ., anche perché, com’è noto, le azioni climalteranti antropogeniche derivano in stragrande maggioranza da attività di produzione o scambio di beni e servizi nel significato degli artt. 2082 e 2135 Cod. civ., ossia da fattispecie di impresa pubblica o privata (produzione di energia; agricoltura e sfruttamento del territorio; industria; trasporti).

Qui, il dovere, al quale la Procedura si è sottratto, è scandito chiaramente: lo si può sintetizzare nella formula, avallata autorevolmente dall’IBA, “in dubio pro clima[68].

Incombe su tutti, quindi anche sugli operatori climalteranti ai sensi dell’UNFCCC, del Cod amb. e dell’art. 2050 Cod. civ.:

– una prestazione positiva di risultato (garantire “vantaggi mondiali”), non solo di mezzi;

– a discrezionalità prefissata nel quomodo (rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minino) e nell’an (senza alcun “pretesto” di rinvio e senza eludere la conoscenza scientifica, anche quando incerta), rivolto al sistema Terra e non a un referente territoriale specifico (dato che si parla di vantaggi “mondiali”);

– una prova fondata sulla “migliore” scienza.

La precauzione climatica “in dubio pro clima” praticamente ci dice che si deve agire per un dovere planetario di salvezza (tra l’altro, conforme all’art. 2 Cost. it.), non per convenienza contingente né tantomeno per interesse privato, ragionando in favore della stabilità climatica, non invece prescindendone, sulla base della scienza.

In questo risiede la profonda differenza dal generico “principio di precauzione”. Quest’ultimo non è sinonimo né di tutela dei diritti delle persone e delle loro libertà né, soprattutto, è sinonimo di salvezza dell’intero sistema Terra nella stabilità climatica: la precauzione climatica, si.

La lex specialis della precauzione climatica si apre alla condivisione cosmopolitica di una serie di doveri basati sulla scienza.

Tutto questo è deliberatamente ignorato dalla Procedura, che non fornisce alcuna “alternativa” al gas (assunto come “alternativa” al carbone), costringendo il pubblico a dover ulteriormente subire climalterazione fossile e quindi aggravamento della “minaccia” già “urgente” e “irreversibile”, in elusione dell’art. 2050 Cod. civ. e dell’art. 3 n. 3 UNFCCC.

 

17. Obbligo di rigetto della Procedura a tutela dei diritti fondamentali e umani

In ragione delle innumerevoli omissioni e lacune della Procedura, rispetto ai parametri normativi connessi all’art. 2050 Cod. civ. e alle valutazioni prognostiche fondate sulla migliore scienza, ignorata e non confutata dalla Procedura, l’unica via di esercizio del potere discrezionale dell’Autorità di valutazione, per non incorrere in violazione di legge ed eccesso di potere, è quella del rigetto della Procedura.

I contenuti della Procedura è strutturalmente incompatibile, per causa di tutte le situazioni di fatto climatiche, espressive della triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, accertata dalla scienza e dichiarata dalla UE, dallo Stato italiano.

L’ “opzione zero” (ossia non dar luogo alla Procedura proposta) è l’unica soluzione proporzionale e ragionevole rispetto alla posta in gioco della “minaccia” dalla scienza definita “esistenziale”( “urgente” e “irreversibile”) dei cambiamenti climatici e della loro antropogenesi fossile.

Del resto, l’ “opzione zero” è del tutto ammissibile, a partire dalla Convenzione di Aarhus del 1998, proprio per non ledere diritti assoluti della persona umana.

Né si possono rivendicare solo interessi economici come elemento di bilanciamento nelle valutazioni della PA. Le esigenze di bilanciamento, soprattutto quando riferite agli interessi economici, possono aver rilievo in situazioni “normali”: non certo in presenza di una “minaccia”, riconosciuta “urgente” e “irreversibile”, per di più in un contesto di triplice emergenza, accertata dalla migliore scienza.

Inoltre, il bilanciamento con gli interessi economici del proponente non è praticabile in pendenza di un’attività già climaticamente pericolosa ex art. 2050 Cod. civ., di cui non risulta adempiuta proprio la «prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno».

Inoltre, non è superfluo ricordare che gli stessi interessi economici rivolti ai fossili sono destinati, proprio a causa della richiamata “Tragedy of Horizon“, a tradursi in Stranded Assets[69].

Pertanto, lo stesso bilanciamento sarebbe un “falso bilanciamento”, perché contrario a qualsiasi interesse pubblico, incluso quello ad autorizzare strategie effettivamente (in base alla migliore scienza) utili all’economia del paese (si ricordi il citato autorevole studio di Lenton et al., sulla inutilità di analisi costi-benefici di bilanciamento esclusivamente economico ed energetico, di fronte alla catastrofe dei “Tipping Points[70]).

Del resto, per giurisprudenza europea (sia CEDU che Corte di Giustizia UE), la limitazione assoluta dei diritti di proprietà e di iniziativa economica si giustifica in presenza di situazioni scientificamente acclarate di “minaccia” di diritti assoluti di tutte le persone umane.

In proposito, proprio la Corte di Giustizia UE, nella causa C-416/2010, ha così statuito:

§ 113: «Il diritto di proprietà non si presenta quale prerogativa assoluta, bensì deve essere considerato in rapporto alla sua funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio di questo diritto, purché tali restrizioni rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa del diritto così garantito (sentenze del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punto 355, nonché del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑379/08 e C‑380/08, Racc. pag. I‑2007, punto 80)»;

§ 114 «Per quanto concerne gli obiettivi di interesse generale precedentemente menzionati, risulta da una giurisprudenza costante che la tutela dell’ambiente figura tra tali obiettivi ed è dunque idonea a giustificare una restrizione dell’esercizio del diritto di proprietà (v. sentenze del 7 febbraio 1985, ADBHU, 240/83, Racc. pag. 531, punto 13; del 20 settembre 1988, Commissione/Danimarca, 302/86, Racc. pag. I‑4607, punto 8; del 2 aprile 1998, Outokumpu, C‑213/96, Racc. pag. I‑1777, punto 32, nonché del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑379/08 e C‑380/08, cit., punto 81)».

È appena il caso di ricordare anche il legame costituzionale italiano tra art. 2 e 32 Cost., in sé assoluto e predominante rispetto alle situazioni soggettive presupposte dagli artt. 41 e 44 Cost.

Tra l’altro, è noto, grazie all’apporto del diritto comparato, l’inscindibile legame tra valutazione di impatto ambientale e contesto di “minaccia” ed emergenza ecosistemica e climatica in atto (prevalente e non bilanciabile con gli interessi privati delle imprese), rimarcato già in diversi giudizi sull’operato delle Autorità di valutazione.

Si ricordano:

– il caso “Aeroporto di Heatrow (in cui il giudice annulla l’autorizzazione all’allargamento dell’aeroporto, proprio perché la VIA non ha considerato gli effetti di una integrazione di attività già pericolosa sulla stabilità climatica e il “Global Potential Warming“);

– il caso “Earthlife” in Sudafrica (in cui il giudice annulla l’autorizzazione all’installazione di una miniera di carbone per lo stesso motivo, indipendentemente dal fatto che la legge sulla VIA non espliciti il richiamo alla stabilità climatica);

– il caso “Gloucester” in Australia (in cui il giudice ha rigettato l’impugnativa della società privata avverso il diniego dell’autorizzazione a installare una miniera a carbone, con la motivazione che tale diniego costituisce adempimento dell’obbligazione climatica gravante sullo Stato, in base alla Convenzione di Vienna)[71].

 

18. Conseguenze legali in caso di avvio delle Procedure e sua conclusione

È appena il caso di far presente che ignorare le evidenze scientifiche esistenti ed espressive della migliore scienza, nonché ignorare la triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, ufficializzata anche da UE e Stato Italiano, consumerebbe atti incostituzionali.

È noto, infatti, che le conoscenze scientifiche limitano la «pura discrezionalità politica» (Corte cost. Sent. n. 282/2002), e che «l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche» (Corte cost. Sent. n. 116/2006).

Nell’epoca della triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, nessun decisore, pubblico o privato che sia, può sottrarsi alla “riserva di scienza”, in conformità, tra l’altro, con l’UNFCCC e l’art. 191 TFUE.

Ove questa sottrazione ai doveri costituzionali dovesse verificarsi, si incorrerebbe in responsabilità civile, nei termini tanto dell’art. 1173 Cod. Civ. e 2043 Cod. Civ. (oltre che art. 28 Cost., per il solo Stato), quanto dell’art. 2050 Cod. civ. ed anche nelle modalità abilitate dalla Sent. Corte cost. n. 641/1987.

 

 

19. Doveri di risposta

In definitiva, anche ARERA e le sue Procedure possono sottrarsi al dovere costituzionale di rispondere alle questioni climatiche.

Quali evidenze scientifiche consentono di ESCLUDERE problemi, EVITARE danni e PREVEDERE contributi costruttivi nel conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, con la Procedura di “metanizzazione” della Sardegna?

Se ARERA omette questi interrogativi, essa viola il complesso dei doveri, di fondamento costituzionale, derivanti dai fatti e dalle norme sopra richiamate.

Tra l’altro, è appena il caso di far presente che lo Stato italiano, di cui ARERA è Agenzia regolativa, ha sottoscritto il Report di ottobre del 2018 dell’IPCC “Riscaldamento globale di 1,5°“) , in cui, a pag  14 ss., lo Stato italiano ha sottoscritto gli “Andamenti delle emissioni e delle transizioni dei sistemi, coerenti con un riscaldamento globale di 1,5°C“).

Non ci comprende sulla base di quale parametro normativo ARERA possa prescindere da questo indirizzo, sottoscritto proprio dallo Stato italiano.

 

 

[1] «Recognizing that climate change represents an urgent and potentially irreversible threat to human societies and the Planet […]»

[2] World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice, 67 BioScience, 12, 2017, 1026-1028, sottoscritto da oltre 10.000 scienziati di tutto il mondo.

[3] https://unfccc.int/news/fossil-fuels-are-biggest-part-of-global-ecological-footprint

[4] World Scientists’ Warning of a Climate Emergency, 70 BioScience, 1, 2020, 8-12, sottoscritto da oltre 10.000 scienziati di tutto il mondo

[5] Methane Emergency: https://www.scientistswarning.org/wiki/methane-emergency/, condiviso dalla migliore autorevole produzione scientifica mondiale.

[6] cfr. https://globaljustice.yale.edu/oslo-principles-global-climate-change-obligations; https://climateprinciplesforenterprises.org/; https://www.ibanet.org/Climate-Change-Model-Statute.aspx

[7] Gartin et al. Climate Change as an Involuntary Exposure, 17 International Journal of Environmental Research and Public Health, 1894, 2020, 2-17.

[8] Al-Delaimy et al. Health of People, Health of Planet and Our Responsibility, Cham, Routledge, 2020.

[9] Friel Climate Change and the People’s Health: the Need to Exit the Consumptagenic System, 395 The Lancet, 2020, 666-668.

[10] World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice, 67 BioScience, 12, 2017, 1026-1028.

[11] World Scientists’ Warning of a Climate Emergency, 70 BioScience, 1, 2020, 8-12.

[12] Methane Emergency: https://www.scientistswarning.org/wiki/methane-emergency/

[13] Rockström et al. A Roadmap for Rapid Decarbonization, 335 Science, 6331, 2017, 1269-1271.

[14] Lenton et al. Climate Tipping Points: too risky to bet against, 757 Nature, 2019, 592-595.

[15] Xu et al. Well below 2°C: Mitigation Strategies for Avoiding Dangerous to Catastrophic Climate Changes, 114 PNAS, 2017, 10315-10323.

[16] Bolton et al. The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, 2020.

 

[17] Powell The Consensus on Anthropogenic Global Warming Matters, 36 Bulletin of Science, Technology & Society, 3, 2016, 157-163.

[18] Cook et al. Consensus on Consensus: a Synthesis of Consensus Estimates on Human-Caused Global Warming, 11 Environmental Research Letters, 4, 2016, 1-8.

[19] Santer et al. Human Influence on the Seasonal Cycle of Tropospheric Temperature, 361 Science, 6399, 2018, 1-11.

[20] AMS Explaining Extreme Events from a Climate Perspective (Report 2018)

[21] Santer et al. Celebrating the Anniversary of Three Key Events in Climate Change Science, 9 Nature Clim. Ch., 2019, 180-182; Hall at al. Progressing Emergent Constraints on Future Climate Change, 9 Nature Clim. Ch., 2019, 269-278.

[22] https://www.minambiente.it/comunicati/ambiente-costa-il-piano-nazionale-integrato-energia-e-clima-pniec-va-aggiornato-e, nonché “Il ministro Costa: “Entro il 2030 il 55% in meno di emissioni fossili. E servirà un nuovo piano energetico nazionale” (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/25/decarbonizzazione-il-ministro-costa-entro-il-2030-il-55-in-meno-di-emissioni-fossili-e-servira-un-nuovo-piano-energetico-nazionale/5847804/)

[23] https://ec.europa.eu/knowledge4policy/foresight/topic/climate-change-environmental-degradation_en

[24] http://www.free-energia.it/2020/05/oltre-mezzo-secolo-67-anni-realizzare-pniec-free-propone-nei-fatti-serie-norme-costo-zero-far-ripartire-paese-le-rinnovabili-lefficienza-energetica/

[25] Cfr., tra gli innumerevoli e tra i più recenti, Traber, Fell Natural Gas Makes No Contribution to Climate Protection, Berlin, EWG, 2019.

[26] https://www.aspoitalia.it/

[27] Tre delle quali già richiamate in precedenza.

[28] Cfr. https://unfccc.int/news/fossil-fuels-are-biggest-part-of-global-ecological-footprint

[29] Bar-On et al. The Biomass Distribution on Earth, 115 PNAS, 2018, 6506-6511.

[30] Willemen et al. How to halt the Global Decline of Lands, 3 Nature Sustain., 2020, 164-166.

[31] Rockström et al. A Safe Operating Space for Humanity, 461 Nature, 2009, 472–475.

[32] Castellana et al. Transition Probabilities of Noise-induced Transitions of the Atlantic Ocean Circulation, 9 Sc. Reports, 2019, 20284.

[33] Lenton et al. Climate Tipping Points: too risky to bet against, 757 Nature, 2019, 592-595.

[34] Dinerstein et al. A Global Deal For Nature, 5 Sc. Advances, 4, 2019, 1-17.

[35] Leakey et al. The Sixth Extinction : Patterns of Life and the Future of Humankind, New York, 1995.

[36] Barnosky et al. Has the Earth’s Sixth Mass Extinction Already Arrived?, 471 Nature, 2011, 51-57.

[37] Román-Palacios et al. Recent Responses to Climate Change reveal the Drivers of Species Extinction and Survival, 117 PNAS 2020, 4211-4217.

[38] Trisos et al. The Projected Timing of abrupt Ecological Disruption from Climate Change, Nature, 2020, 1-12.

[39] Capriolo et al. Deep CO2 in the end-Triassic Central Atlantic Magmatic Province, 11 Nature Comm., 1670, 2020, 1-11.

[40] Il Quotidiano della CO2, anche in italiano (https://it.co2.earth/daily-co2), aggiorna le variazioni di ppm.

[41] Gaffney-Steffen The Anthropocene Equation, 4 The Anthropocene Rev., 1, 2017, 53-61.

[42] Steffen et al. Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, 115 PNAS, 2018, 8252-8259.

[43] Rogelj Differences between Carbon Budget estimates unravelled, 6 Nature Clim. Ch., 2016, 245-252.

[44] Issue 7797, Saturation Point, 579 Nature, 2020.

[45] Xu et al. Well below 2°C: Mitigation Strategies for Avoiding Dangerous to Catastrophic Climate Changes, 114 PNAS, 2017, 10315-10323.

[46] Howard-Livermole Sociopolitical Feedbacks and Climate Change, 43 Harvard Envtl L. Rev., 2019, 119-174.

[47] https://sites.google.com/site/williamdnordhaus/dice-rice

[48] https://www.unenvironment.org/resources/report/production-gap-report-2019

[49] Cfr. https://www.circularity-gap.world/2020

[50] Williams Tackling Climate Change: what is the Impact on Air Pollution?, 3 J. Carbon Manag., 5, 2012, 511-519.

[51] OECD Taxing Energy Use 2019. Using Taxes for Climate Action, Paris, 2019.

[52] Coady et al. Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large, IMF WP/19/89.

[53] Bolton et al. The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, 2020.

[54] J.P. Morgan Special Report: Risky Business: the Climate and the Macroeconomy, Economic Research January 14, 2020.

[55] Parrique et al. Il mito della crescita verde, Roma, 2019.

[56] UNEP Decoupling Natural Resource Use and Environmental Impacts from Economic Growth, Paris, 2011.

[57] Hmiel et al. Preindustrial CH Indicates greater Anthropogenic Fossil CH Emissions, 578 Nature, 2020, 409-412.

[58] Klemun et al. Timelines for Mitigating the Methane Impacts of Using Natural Gas for Carbon Dioxide Abatement, 14 Environmental Research Letters, 2019 1-14.

[59] Elder et al. Airborne Mapping Reveals Emergent Power Law of Arctic Methane Emissions, 47 Geophysical Research Letters, 3, 2020.

[60] Landrigan et al. The False Promise of Natural Gas, 382 N. Engl. J. Med., 2020, 104-107.

[61] In tal senso, si v. il Parere del CESE (EESC) sulla giustizia climatica, del 2017, citato nei documenti dell’ultimo paragrafo.

[62] IEA World Energy Outlook 2013.

[63] McGlade, Ekins The Geographical Distribution of Fossil Fuels unused when Limiting Global Warming to 2° C, 517 Nature, 8 Gennaio 2015.

[64] https://www.dnvgl.com/news/the-world-s-energy-demand-will-peak-in-2035-prompting-a-reshaping-of-energy-investment-128751

[65] https://www.qualenergia.it/articoli/e-troppo-lenta-questa-de-carbonizzazione-e-il-cambiamento-climatico-avanza/

[66] https://www.weforum.org/whitepapers/the-speed-of-the-energy-transition

[67] https://www.qualenergia.it/articoli/litalia-via-dal-carbone-ma-con-piu-energie-rinnovabili-e-meno-gas/

[68] Model Statute for Proceedings Challenging Government Failure to Act on Climate Change, 2020.

[69] Cfr. https://www.globalwitness.org/en/campaigns/oil-gas-and-mining/overexposed/, e Mercure et al. Macroeconomic Impact of Stranded Fossil Fuel Assets, 8 Nature Clim. Ch., 2018, 588-593.

[70] Lenton et al. Climate Tipping Points: too risky to bet against, 757 Nature, 2019, 592-595.

[71] Giurisprudenza comparata e ulteriori approfondimenti sono reperibili dal sito: https://climate.law.columbia.edu/