Sono in arrivo i 196 miliardi del Recovery Fund nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza,  di cui 73.4 miliardi per la Rivoluzione Green e la Transizione Ecologica. Poi c’è il Just Transition Fund: si tratta di ulteriori 17,5 miliardi di euro per sostenere le regioni che più dipendono da combustibili inquinanti nella transizione verso la neutralità climatica entro il 2050. Almeno da questo ammontare non arriveranno investimenti nell’industria fossile e in attività collegate.

Poi ci sono gli stanziamenti del Milleproroghe e la legge di bilancio del Governo. E del PNIEC (Piano Nazionale Energia e Clima) e del nuovo Piano nazionale per l’Idrogeno.

Solo un terzo del Recovery Fund sono finanziamenti a fondo perduto, mentre i 2/3 sono debiti che stiamo facendo per il nostro futuro e che noi e i nostri figli dovremmo restituire. Perciò, questi fondi europei sono una occasione unica per rilanciare economia, sviluppo e occupazione per il futuro del nostro territorio e per i nostri figli.

La proposta di Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza è stata approvata nei suoi contenuti essenziali dal Comitato interministeriale per gli affari europei del 9 settembre scorso, in coordinamento con tutti i Ministeri e le rappresentanze delle Regioni e degli Enti locali, e trasmessa alle Camere il 16 settembre 2020.

 

La Camera e il Senato hanno approvato il 13 ottobre le risoluzioni delle Commissioni sulla proposta di Linee guida. “il Governo è pronto per cominciare il dialogo informale con Bruxelles”, ha dichiarato il Ministro Amendola in una nota. I colloqui con la Commissione europea prendono il via il 15 ottobre. Il piano definitivo sarà presentato nel 2021.

 

Il 17 settembre 2020, la Commissione ha presentato gli orientamenti per i Piani di ripresa e resilienza degli Stati membri e un modello standard per la presentazione di tali piani. Il termine per la presentazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza è il 30 aprile 2021. Gli Stati membri sono tuttavia incoraggiati a presentare i loro progetti preliminari di piani a partire dal 15 ottobre 2020.

 

Proseguono le riunioni del Comitato Tecnico di Valutazione che, presieduto dal Ministro Vincenzo Amendola e alla presenza dei rappresentanti dei ministeri, sta lavorando al Piano nazionale di ripresa e resilienza.

 

Ma quali sono i progetti? Non si conosce ancora il dettaglio. Non ci sarà più la task force di supermanager delle multinazionali energetiche italiane che finora ci hanno inquinato, come ENEL, ENI, SNAM, Edison, ecc., ma sono rimasti i loro progetti.

Intanto il PnRR (Recovery Plan) prevede ben 8 miliardi e mezzo per la produzione e distribuzione di rinnovabili, e più di un miliardo è riservato alla produzione di idrogeno. Quanto al capitolo “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, tre miliardi vanno invece allo sviluppo dei collegamenti sull’ultimo miglio portuale per lo sviluppo della logistica integrata. Ci saranno perciò risorse per l’elettrificazione delle banchine, per circa un miliardo, e poco meno (0,72) per apportare migliorie di capacità e accessibilità a diversi porti come Napoli, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno e altri, oltre alla nuova diga foranea per lo scalo di Genova e il rafforzamento della piattaforma logistica per Trieste. Non c’è traccia del progetto di Hydrogen valley del porto di Civitavecchia o della proposta del porto di Brindisi e Taranto.

E intanto in varie città si litiga dove fare il deposito GNL (gas fossile) e si propongono  conversione col gas metano di TAP di centrali ENEL a carbone (a Brindisi, Civitavecchia, La Spezia e Fusina).

Le raccomandazioni IPCC per fermare le emissioni di CO2 e metano climalterante in emergenza climatica sermbrano non interessare a nessuno a Italia. E’ tutto “necessario per la transizione della decarbonizzazione”,  dicono le istituzioni.

E il MIlleproroghe proroga i permessi di prospezione e ricerca di idrocarburi e nella legge di bilancio c’è addirittura un piano di aiuti economici alla raffinerie. E si aprla di idrogeno, come nuova tecnologia di transizione per la de carbonizzazione.

 

C’ è una grande confusione: gas metano o biogas, nella combustione per produrre idrogeno detto blu, emette CO2 e non si rispettano le direttive europee in termini di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. Esiste l’idrogeno verde ricavato per elettrolisi dall’acqua.

L’idrogeno si può produrre rinnovabile o verde solo se l’energia che alimenta gli elettrolizzatori è rinnovabile, cioè solare o eolico, e si ricava dall’acqua. Mentre è blu, cioè non sostenibile, se si produce con fonti di energie fossili e dal metano, scindendo CH4 in H2 col residuo di CH2, che combinandosi con l’aria, produce CO2 in eguale quantità.

E dove sarà smaltita questa ulteriore produzione di CO2? In un fantomatico impianto di CCS (Carbon Capture & Storage) progettato a Ravenna dall’ENI al modico prezzo di 12 miliardi: cioè, per produrre idrogeno, usiamo l’energia del metano (CH4 che produce CO2) per alimentare l’elettrolisi, che poi scinde il metano (CH4) in idrogeno e CO2, che andremo a compensare poi? Con camion e  navi  a Ravenna, producendo ulteriori emissioni di CO2. E a Ravenna nasconderanno la CO2 prodotta nei vecchi giacimenti sottomarini di gas e petrolio, mettendoci un tappo sopra. Ravenna è zona sismica e tale tecnologia non è mai stata sperimentata prima al mondo, e non è economica, visto che è stata bocciata persino dalla Corte dei Conti Europea, perché considerata non conveniente… E pensare che l’idrogeno (H2) si può ricavare dall’H2O, dall’acqua, senza emissioni di carbonio… Siamo all’assurdo per giustificare l’industria del gas e TAP.

 

Tutti questi progetti energetici previsti con i soldi del Recovery Fund, costosissimi, avranno una bassissima ricaduta occupazionale, saranno provvisori per la transizione dal fossile, sono ancora ad alta emissione di CO2 e ci indebiteremo per questi progetti per i prossimi decenni. Il vecchio che avanza. Ma che senso ha?

 

Il 2021 è un momento eccezionale: l’industria fossile Oil&Gas è fortemente messa in discussione e come emergenza climatica siamo veramente al limite, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, dopo 200 anni di immissioni di gas climalteranti, metano compreso. E stanno arrivando 200 miliardi in Italia per costruire il nostro futuro: è un’opportunità irripetibile per cambiare rotta e garantire ai nostri giovani un futuro sostenibile e occupazionale.

E siamo in un momento di gravissima e inedita emergenza, di fronte alla quale abbiamo il dovere – tutti – del coraggio e dell’onestà intellettuale.

 

PRESENTANO E INVIANO LE PROPRIE OSSERVAZIONI SULLA

consultazione pubblica sulle Linee Guida per la Piano nazionale sull’idrogeno, elaboratA dal Ministero dello Sviluppo Economico

 

 

Osservazioni preliminari:

Il 2021 è un momento eccezionale: l’industria fossile Oil&Gas è fortemente messa in discussione e come emergenza climatica siamo veramente al limite, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, dopo 200 anni di immissioni di gas climalteranti, metano compreso.

Valgano alcuni riscontri scientifici da non ignorare:

Si parta dall’efficace sintesi offerta da Johan Rockström, uno degli scienziati più autorevoli sul tema, a capo della più importante rete mondiale di ricerca sui limiti di sostenibilità dell’azione umana sul pianeta (10 years to transform the future of humanity—or destabilize the Planet): abbiamo solo dieci anni per trasformare il futuro dell’umanità oppure consegnarlo a un sistema climatico e biofisico irrimediabilmente destabilizzato e destabilizzante, dove il superamento definitivo dei diversi “confini planetari”, i grandi equilibri interdipendenti che condizionano l’abitabilità della Terra, e dei “tipping point”, i “punti di non ritorno” di alcune funzioni ecosistemiche fondamentali per la stabilità della temperatura (come i ghiacciai), renderanno le condizioni di vita sempre peggiori e sempre più vulnerabili.

Il Segretario Generale dell’ONU ha esortato tutti gli Stati a dichiarare l’emergenza climatica  al pari di quanto fatto per l’emergenza pandemica, data la gravità della situazione.

Nella letteratura scientifica prevalgono le previsioni pessimistiche. Si parla di futuro proiettato su “temperature infernali” (Th. Westerhold Th. et al., An astronomically dated record of Earth’s climate and its predictability over the last 66 million years, in 369 Science, 6509, 2020, 1383-1387), di “tempesta perfetta” di problemi convergenti, derivanti dalle emergenze in corso (I. Capellan-Pérez et al., Medeas. A new modelling framework integrating global biophysical and socioeconomic constraints, in 13 Energy & Environmental Science, 3, 2020, 876-1017); di “punto di non ritorno planetario” (quindi di definitiva perdita di controllo della stabilità climatica ovunque) già al 2050 (J. Hansen et al. Ice melt, sea level rise and superstorms, in Atmospheric Chemistry and Physics, 16, 2016, 3761-3812); addirittura di “punto di non ritorno non governabile” senza azzerare immediatamente tutte le forme di emissione di gas serra e controllare il riscaldamento globale con ulteriori strumenti di stabilizzazione climatica (J. Randers et al., An earth system model shows self-sustained melting of permafrost even if all man-made GHG emissions stop in 2020, in 10 Scientific Reports, 2020, 18456).

«Climate change bigger threat than Covid» e «No vaccine for climate change»  sono le due implacabili formule utilizzate dall’ultimo Report (novembre 2020) della Federazione Internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC).

Contemporaneamente si è pure constatato (E. Elbecham et al., Global human-made mass exceeds all living biomass, in Nature, 9 december 2020) che, per la prima volta nella storia del pianeta Terra, i materiali artificiali creati dall’essere umano hanno superato l’intera massa vivente esistente, così raggiungendo il “punto di crossover”, ossia la prevalenza delle “cose” prive di vita sul mondo naturale. Il “peso” di strade, edifici, cose e materiali costruiti, fabbricati e scambiati nel “mercato umano” raddoppia all’incirca ogni 20 anni per un totale di 1,1 teratonnellate; viceversa, poiché l’umanità ha continuativamente incrementato il suo consumo insaziabile di risorse naturali, il “peso” della biomassa vivente – alberi, piante e animali, con le loro funzioni di equilibrio ecosistemico – si è definitivamente dimezzato fino a raggiungere attualmente solo 1 teratonnelata.

Siamo in un momento di gravissima e inedita emergenza, di fronte alla quale abbiamo il dovere – tutti – del coraggio e dell’onestà intellettuale.