Di che si tratta? Si tratta delle comunicazioni di informativa che le aziende grandi e medie, dette SME devono fare nei loro piani riguardo alla sostenibilità dell’azienda, alle informazioni relativi ai salari, ai tempi di lavoro e alla sicurezza dei lavoratori, e alla biodiversità. Cioè la Commissione Europea vuole evitare il greenwashing che le aziende inseriscono nei loro piani finanziari, che poi ingannano gli investitori. Vale anche per le banche.

Cosa è successo? La Accounting Directive del (2013/34/EU1) così come emendata dal Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD – 2022/24642) prevedeva degli obblighi per le grandi aziende sulla comunicazione degli obiettivi climatici, ma l’Atto Delegato in discussione ha addolcito molto il piano originario, anche contro le raccomandazioni della EFRAG, gli esperti consultati dalla CE.

Cosa è cambiato? E’ stato introdotto il materiality assessment, cioè l’obbligo delle aziende di comunicare al pubblico solo gli scopi “materiali”, direttamente connessi all’attività dell’azienda, lasciando così una ampia discrezionalità di applicazione della direttiva alle attività, che per tali aziende di grosse dimensioni abbracciano vari settori. La nostra denuncia riguarda decisamente le pressioni di lobby industriali per far passare tale principio del materiality assessment all’ultimo minuto. Molti Governi, come quello finlandese o quello olandese hanno denunciato tale aggiunta postuma.

Inoltre certe comunicazioni non sono più obbligatorie, ma raccomandate, tipo l’effetto sui piani di biodiversità perseguiti dalle aziende.

Altro punto caldo: le aziende possono fare riferimento a scenari anche oltre l’1.5° C di surriscaldamento globale, come per dire: tanto non ci arriviamo, allora agiamo in un contesto di net-zero rimandato nel tempo…

 

Quì il testo completo delle nostre osservazioni in italiano:

https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13765-Principi-europei-di-informativa-sulla-sostenibilita-prima-serie/F3429896_it 

La Campagna Fuori dal Fossile critica fortemente i nuovi European sustainability reporting standards che dovrebbe implementare la Accounting Directive della CSRD,  che impone alle grandi imprese e alle società quotate di pubblicare relazioni periodiche sui rischi sociali e ambientali cui sono esposte e sul modo in cui le loro attività incidono sulle persone e sull’ambiente. Il primo atto delegato stabilisce norme trasversali e norme per la divulgazione di informazioni ambientali, sociali e di governante introducendo il materiality assessment, relativi alle emissioni Scope 3, alle informazioni relativi ai salari, ai tempi di lavoro e alla sicurezza dei lavoratori, e alla biodiversità. Rigettiamo con forza il principio che introduce valutazioni discrezionali da parte delle grandi compagnie e delle SME, come quella della analisi di materialità nei campi delle emissioni e della biodiversità.

Intanto perché l’atto delegato è in contrasto con le raccomandazioni dell’EFRAG, l’associazione no profit di esperti che elaborano l’interesse pubblico europeo sia per il reporting finanziario, sia sul reporting di sostenibilità e che elabora le politiche europee finanziarie e di sostenibilità ambientale delle pubblicazioni delle aziende.

La Commissione deve eliminare il materiality assessment, perché indebolisce la qualità e la confrontabilità del reporting. Questo principio, introdotto all’ultimo minuto nell’Atto Delegato, assecondando le potente lobbies industriali, rischia di vanificare gli scopi del CSRD e aumenta il rischio che tali pubblicazioni diventino sempre più occasione di greenwashing da parte delle grandi imprese.

Inoltre denunciamo che certi obblighi di divulgazione nei reporting, come quelli sui piani di transizione alla biodiversità, siamo diventati “volontari” e non più obbligatori e potrebbero diminuire le informazioni rese agli investitori sulla pratiche di preservazione ambientale. Chiediamo perciò che tutte le disclosures siano tenute obbligatorie nei report.

Inoltre devono restare obbligatorie tutte le enclosures riguardanti gli altri regolamenti UE, come SFDR, il Benchmark e il Climate Benchmark Regulations, Pillar 3, CSDDD, CRR/CRD e seguire il principio basilare “do no significant harm” (DNSH).

 

La disclosure dovrebbe poi essere obbligatoria in caso di nuovi progettti e piani ad alta intensità di carbonio e per capire se le aziende stanno continuando ad investire sui fossili e in che misura, proprio per rendere pubblici i piani di sostenibilità ed evitare politiche di greenwashing massivo.

Tutte le informative aziendali dovrebbero includere obbligatoriamente un piano di emissioni che limiti il riscaldamento globale a 1.5° C e sia in linea con gli obiettivi di emissioni per il 2030.

Al punto  ESRS E1 62, ogni azienda dovrebbe includere nelle informative ai piani se la riduzione dei gas climalteranti è stata raggiunta almeno al 90%, per cui i carbon credits siano stati usati solo per le ultime attività emissive residuali.

Al punto AR1 aggiungere “e, dove applicabile, la riduzione e la progressiva uscita dalle attività legate al carbone, al petrolio e a ogni forma di gas”.

In AR16 non ci sono, come delineato, scenari alternativi come il global warming oltre 1.5° C. Tutto la comunicazione deve puntare all’obiettivo net-zero ed ogni infrastruttura per combustibili fossili sia considerata all’interno del locked-in emissions assessment.