di Linda Maggiori
A TUTTO GAS. Snam parte con i 32 chilometri a terra, la protesta degli ambientalisti: «Un impatto sul paesaggio, sull’ecosistema marino e sul clima devastante, se pensiamo anche alle perdite in atmosfera del metano, che sempre si associano ai metanodotti»
A Ravenna sono partiti in grande stile i lavori per la costruzione del metanodotto Snam, in tutto 40 km, per allacciare il rigassificatore galleggiante Singapore Bw. Il rigassificatore Bw Singapore, che trasforma il gas liquefatto (Gnl), portato dalle metaniere, in gas naturale, dovrebbe entrare in funzione entro settembre 2024. Ormeggiato a 8,5 km nella piattaforma Petra (gruppo Pir), immetterà 5 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno. I lavori per il metanodotto a terra (32 km) sono stati commissionati dalla Snam alla Max Streicher spa, per un ammontare di oltre 40 milioni di euro, quelli per il metanodotto in mare e per l’adeguamento della piattaforma, sono invece commissionati alle aziende Rosetti Marino, Micoperi e Saipem e non sono ancora iniziati. Oscar Guerra, ad di Rosetti Marino, aveva detto al Corriere di Romagna: «Serviranno 14 mila tonnellate di strutture da realizzare in un anno, l’equivalente di sette piattaforme dell’Adriatico». Lavori ciclopici, il cui costo non è ancora quantificato.
«Un impatto sul paesaggio, sull’ecosistema marino e sul clima devastante, se pensiamo anche alle perdite in atmosfera del metano, che sempre si associano ai metanodotti» contestano gli attivisti del Coordinamento Ravennate Campagna Fuori dal Fossile.
«Si tratta di una piccola Tap» avverte Angelo Gagliani, attivista del Movimento No Tap/Snam di Brindisi, dall’Ostuni Climate Camp «il metanodotto di Ravenna è stato commissionato alle stesse aziende appaltatrici della Tap che hanno provocato avvelenamento delle falde con cromo esavalente (additivo usato durante gli scavi) a San Basilio. La Tap è tuttora sotto processo per disastro ambientale. Anche a Ravenna faranno un progetto simile, useranno una talpa meccanica, un pozzo di spinta a 400 metri dalla spiaggia (nell’area ex Sarom di Punta Marina, area industriale dismessa), con una tecnologia trenchless, che spingerà tubi di cemento alti 2×2 metri sotto la sabbia. Durante gli scavi a Brindisi nel 2020 hanno intercettato una falda e l’hanno prosciugata, lasciando a secco un quartiere, problemi che continuano tuttora. Le compensazioni sono irrisorie rispetto al danno provocato».
Associazioni e comitati che lottano contro il fossile e le grandi opere inutili, si sono dati appuntamento all’Ostuni Climate Camp (1-6 agosto), organizzato dalla Campagna Nazionale Per il Clima Fuori dal Fossile. «Se negli anni passati si giustificavano queste infrastrutture con l’emergenza energetica, il governo Meloni è uscito alla scoperto, parlando dell’Italia come hub del gas europeo. Ecco quindi la corsa ai nuovi rigassificatori fissi e su navi, metanodotti e trivelle, nuovi depositi Gnl in ogni Autorità portuale, progetti che il governo ha accelerato. Altro che zero net carbon, uscita dal fossile entro il 2050 e riduzione emissioni del 55% entro il 2030 – denunciano le associazioni – Non si rispettano gli impegni climatici e si mette a rischio la sicurezza e la salute della gente».
Ieri al Climate Camp ha partecipato anche Sara Vegni dell’associazione ASud per Giudizio universale, che da due anni ha citato in giudizio lo Stato Italiano per inadempienza climatica. Oggi interverranno Frida Kieninger, direttrice degli affari europei della ong Food and Water Action sulle politiche europee delle fonti fossili, Diego Pedraza Lahoz di Deutsche Umwelthilfe, che illustrerà le similitudini tra Germania e Italia sulle politiche fossili e Marina Gros Breto di Ecologistas en Acciòn per la Spagna e Joao Camargo dell’ong Climaximo, Portogallo.
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