90 anni della più grande raffineria del primo gruppo petrolifero privato italiano, dopo oltre 20 anni di istituzione del SIN di Falconara cui non sono state corrisposte le dovute e promesse boniche, nei 30 anni di lotta dei comitati di quartiere e centri sociali del territorio, siamo ad un punto di svolta critico: l’Api verrà’ portata a processo, l’ennesimo, per disastro ambientale, coinvolti i vertici aziendali e l’ex direttore dell’Arpam Marche…una storia sporca come il petrolio che raffinano, ma nn ci basta…quegli impianti vanno fermati ora!!! #fermiamoilDisastroambientale #bastaesalazioni Facciamo appello a tutte le realtà della campagna Per il clima fuori dal fossile, e a tutti i movimenti ecologisti ambientalisti e non, e per la giustizia climatica, ad essere sabato 27 gennaio nelle Marche per una grande mobilitazione popolare
Sabato 27 gennaio 2023, ore 15.30 Piazza Mazzini Falconara
L’11 aprile 2018 per settimane migliaia di persone furono lasciate esposte ad esalazioni incontrollate di benzene ed altre sostanze inquinanti a seguito della fuoriuscita di 15 mila metri cubi di petrolio greggio, dovuta all’inclinazione del tetto galleggiante di uno dei più grandi serbatoi d’Europa, il TK-61 dell’Api.
Nel maggio successivo, nonostante le tantissime manifestazioni di protesta e denuncia, ad ogni livello istituzionale, da quello governativo e ministeriale agli enti regionali e locali, tutte le forze politiche si resero responsabili del rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale della Raffineria di Falconara.
A distanza di ben cinque anni da quegli eventi si apre oggi l’ennesimo processo verso Raffineria Api, che non riguarda però solo un evento specifico, un incidente più o meno rilevante, come spesso accaduto nel passato recente e non, ma una condizione di eccezionalità diventata norma, fino a rappresentare la quotidiana condanna per questo territorio, a suon di esalazioni e sversamenti.
L’indagine Oro Nero mette in luce come il modus operandi di fatto e il ciclo produttivo stesso del petrolchimico, votati costi quel che costi alla massimizzazione del profitto, con il complice immobilismo e lo speculare sostegno dell’establishment politico e amministrativo, siano accusati e responsabili del disastro ambientale in atto.
Agli acronimi quasi indecifrabili dei SIN (sito di interesse nazionale dal bonificare) o AERCA (area ad elevato rischio di crisi ambientale) che siamo stati costretti a conoscere negli anni, ora si impone una terminologia chiara e netta, oltre ogni ragionevole dubbio e compromesso.
Disastro ambientale prelude ad uno scenario di alterazione quasi irreversibile dell’ecosistema di un territorio rilevante ed esteso, per numero di persone esposte al rischio sanitario e per entità della contaminazione delle acque marine e di falda, dell’aria, del suolo e del sottosuolo.
Abbiamo anche sperimentato sulla nostra pelle come il degrado ambientale si riverbera in degrado culturale, sociale, economico, che corrompono le fondamenta delle nostre comunità.
Tutto questo è in linea con il doppiogiochismo dei sempre più rituali vertici globali, dove si addita alle conseguenze catastrofiche della crisi climatica, ma si ritarda a tempi sempre più procrastinati e indefiniti l’uscita dal fossile e la transizione ecologica, e con le politiche dei governi che, sbandierando la crisi energetica di turno, riempiono di soldi pubblici le multinazionali dell’oil and gas, smantellano le poche tutele rimaste e rilanciano la follia del nucleare come soluzione della crisi climatica e ambientale.
Ma i tanti territori in cammino e in rete possono ancora invertire la rotta, se dalla verità storica, giudiziaria, politica, e da quella inscritta nelle nostre coscienze, sapremo ricomporre un movimento popolare che pratichi proposte concrete per condurci fuori e oltre il disastro ambientale.
Quegli impianti vanno fermati ora.
La dismissione della Raffineria deve essere compensata da un piano di risarcimento, bonifica e monitoraggio sanitario, che produca posti di lavoro nel e per il territorio, che significhi riqualificazione delle sue aree dismesse e conversione economica verso nuove fonti energetiche rinnovabili e pulite.
L’unica transizione ecologica possibile dovrà essere popolare, se risponde ai bisogni immediati e comuni, economica, quando rilancia le potenzialità dei luoghi e detta un cambio di sistema, partecipata, perchè nasce nella pratica dei presidi e delle assemblee, dei comitati e dei movimenti.